La fiaba di Aristide: il papero che non sapeva dire Quack

C’era una volta nel regno di Palmipedilandia un papero di nome Aristide.

Aristide era un bellissimo papero giallo con delle macchie marroncine sulla pancia e come tutti gli altri paperi amava molto nuotare ed andare alla scoperta di nuovi incantevoli laghetti che popolavano il suo regno.

Aristide però non era come gli altri paperi, ma aveva un piccolo problema: non sapeva dire Quack!

Sin da quando era un piccolo paperotto, i suoi paperitori si sforzavano di insegnargli il suono Quack, ma ogni volta che Aristide apriva il becco per pronunciare Quack, diceva “Cioc”.

Quando lo sentirono pronunciare la prima volta, nessuno dei due si preoccupò più di tanto, dal momento che credevano che si trattasse solo una fase della sua crescita e che con il tempo sarebbe passato.

Ma nulla!

Più cresceva e più Aristide per quanti sforzi facesse non riusciva a pronunciare Quack ma Cioc, e neanche i più illustri paperinziati riuscirono a dare una spiegazione a questo bizzarro comportamento.

Gli altri paperi, prendevano in giro il povero Aristide e lo canzonavano dicendo: “Aristide dove vai se quack non fai? Tu con noi non puoi giocar perché strano sei assai. Sempre solo resterai finché quack non dirai”.

Ecco perché Aristide nuotava sempre da solo e ogni volta che incrociava qualche papero si immergeva per non farsi vedere, altrimenti lo avrebbero preso in giro.

Ormai non sapeva più cosa fare: nonostante tutto il suo impegno, non riusciva a pronunciare quack ma sempre e solo cioc, per cui pensò che la miglior cosa da fare sarebbe stata quella di abbandonare il laghetto familiare e trovarsi un laghetto tutto suo dove nessuno avrebbe potuto trovarlo.

Così una sera mentre i suoi paperitori stavano dormendo, Aristide paperando paperando, aprì l’uscio della porta e andò via.

Si recò al suo laghetto preferito, quello che si trovava vicino al regno di Testuggilandia: era un bellissimo laghetto dalle acque color verde smeraldo, pieno di ninfee e giunchiglie profumate, il tutto circondato da immense querce che gli donavano l’aspetto di un luogo sicuro e confortevole.

Mentre Aristide si stava godendo quell’oasi felice, qualcosa richiamò la sua attenzione: vide il cespuglio muoversi e in men che non si dica gli piombò addosso qualcosa di pesante che lo travolse facendolo andare a fondo nel laghetto.

Mentre cercava di riprendersi e di capire cosa fosse successo, qualcuno con una voce squillante gli disse:
“Ehi tu, ti sei fatto male? Scusami ma a volte non riesco a dosare bene la mia velocità e poi pensavo non ci fosse nessuno nel mio laghetto”.

Aprì gli occhi e rimase a guardare quella strana figura che aveva parlato e osservandola meglio si accorse che era una tartaruga.

“Forse hai ricevuto una botta troppo forte e io sto parlando troppo velocemente, ora ricomincio da capo. Cia-o, co-me sta-i? Io mi chia-mo Ca-mil-le, e tu? Co-sa ci fa un pa-pe-ro qui?

Aristide ancora mezzo tramortito rispose: “il mio nome è Aristide, sono venuto qui perché è così bello nuotare in quest’acqua cristallina, e poi non c’è nessuno che ti disturba”.

Camille rispose: “Oh, hai proprio ragione! Questo è il laghetto più bello di tutta Testuggilandia, anche io quando voglio allenarmi per le gare di nuoto vengo qui”.

“Una tartaruga che fa gare di nuoto?” disse incredulo Aristide!

“Forse non sai che davanti a te hai la tartaruga più veloce del regno!” rispose Camille

Aristide non riuscì a contenersi e scoppiò in una fragorosa paperisata: “Cioc, cioc, cioc, non farmi ridere è impossibile cioc, cioc, cioc”.

Senza dire nemmeno una parola Camille voltò le spalle e FIUUUUM iniziò a correre così veloce che prima che potesse rendersene conto, Aristide la perse di vista.

Aristide, becco aperto, si ricompose e disse: “Ca-ca-camille, do-do-dove sei andata?”

“Eccomi sono qui dietro di te, mi cercavi?” rispose Camille.

Aristide si voltò di scatto e vide che Camille era proprio dietro di lui.

Prima che riuscisse a pronunciare anche una sola paperola, Camille gli disse: “lo so che magari farà anche ridere del resto in passato sono stata a lungo presa in giro per via di questa mia particolarità: del resto dove si è vista mai una tartaruga veloce? Tutti mi deridevano e io decisi di allontanarmi da loro. Un giorno però, sentii la mia vicina di guscio gridare aiuto, mi precipitai fuori e vidi che usciva del fumo dalla sua casa. Senza pensarci troppo su, corsi dentro la sua casa la portai fuori, presi dell’acqua e riuscii a spegnere anche l’incendio. La mia vicina di guscio non sapeva più come ringraziarmi e tutti coloro che erano accorsi mi abbracciarono e mi dissero che non si sarebbero più presi gioco di me. Da quel giorno capii che la mia velocità non era un difetto ma un qualcosa che mi rendeva unica e speciale”

Ascoltando quella storia Aristide non poté far altro che pensare a sé stesso e a come anche lui fosse stato trattato male da tutti i paperi del regno perché non riusciva a fare quack e pensò di raccontare la sua storia a Camille, ma lei all’improvviso disse:

“A proposito, ma cos’era quello strano verso che hai fatto prima? I paperi fanno quack, non fanno cioc!”

Un brivido di freddo corse lungo tutta la schiena di Aristide che ripensò a quando, non riuscendosi a trattenere per quella storia incredibile della velocità di Camille, gli era scappato di dire il suo odiato cioc!

“Cioc? Io non ho detto cioc, forse ti sarai sbagliata”, disse Aristide nel tentativo di sviarla.

Ma Camille rispose: “allora non avrai nessun problema a ripetere quello che hai detto, perché io sono sicura che tu abbia detto cioc”

“Q…i…q…u…o, oh insomma Cioc, cioc! Sei contenta? Non riesco a fare il verso che fanno tutti i paperi, ora puoi anche ridere se vuoi”

Aristide era lì becco in giù che aspettava di sentire Camille mentre lo derideva e invece lei gli si avvicinò e gli disse: “perché mai dovrei ridere? Anche tu sei speciale come me, perché te ne vergogni?”

“Speciale? Speciale? Cosa ci vedi di speciale nel dire Cioc? Tutti mi prendono in giro, se non faccio il loro stesso verso, sono diverso, il tuo invece è un grande dono perché puoi aiutare gli altri, di me non si interessa nessuno, ecco perché sono fuggito, così nessuno potrà più prendermi in giro”

Camille capiva benissimo l’angoscia che provava il povero Aristide e così gli disse: “avevo capito che non ti trovassi qui solo per nuotare, però non credo che fuggire sia la soluzione al tuo problema, e poi pensa ai tuoi paperitori, sicuramente saranno in pensiero per te, la miglior cosa è tornare e affrontare tutti coloro che sono stati prepotenti con te e dire loro di lasciarti in pace. Verrò io con te così non sarai solo”.

Aristide era commosso!

Nessuno si era mai preoccupato dei suoi sentimenti e nessuno lo aveva difeso, eppure davanti a sé aveva qualcuno pronto a battersi per lui e a non lasciarlo solo!

“Hai ragione Camille, scappare non serve devo tornare e affrontarli, forza andiamo!”

Grazie alla super velocità di Camille, i due arrivarono a Palmipedilandia in un batter di papero.

Aristide per prima cosa corse subito a casa sua perché voleva riabbracciare papermà e farsi prendere in braccio da paperpà, ma entrato in casa non trovò nessuno.

Così uscì di corsa e iniziò a chiedere in giro se qualcuno li avesse visti.

La vecchia papera saggia che vide la scena chiamò Aristide e gli disse: “i tuoi paperitori si sono addentrati nel bosco di Orribubosio per cercarti, ma ancora non sono tornati.”

Al sol sentir nominar quel bosco ad Aristide si drizzarono i peli per la paura: il bosco di Orribubosio era pieno di paludi e dal terreno fuoriusciva del gas puzzolente, chiunque vi si fosse addentrato era tornato tutto spaventato e per mesi e mesi sprigionava un odore fetido.

E ora i suoi paperitori si trovavano in quel bosco spaventoso e chissà quali pericoli stavano affrontando pur di ritrovarlo.

Subito Aristide guardò Camille e le disse: “presto! Non abbiamo un minuto da perdere! Dobbiamo correre nel bosco di Orribubosio e cercare la mia paperfamiglia”.

Senza farselo ripete due volte Camille, guscio in spalle, prese Aristide e corse più veloce della luce fino al bosco di Orribubosio.

Arrivati lì, i due si guardarono in faccia con aria spaventata: era peggio di quel che si raccontasse!

L’odore era così insopportabile che per poco Camille non svenne, gli alberi erano così alti e fitti che neanche un raggio di sole riusciva ad illuminare quel bosco così oscuro.

Trovare i suoi paperitori non sarebbe stato facile!

Ma Aristide non si perse d’animo e accompagnato da Camille tirò una bella boccata d’aria fresca ed entrò in quel bosco.

Ora però bisognava capire come trovarli quando a Camille venne un’idea: “Aristide, l’unico modo per trovare la tua papermà e il tuo paperpà è di utilizzare il tuo speciale verso, sicuramente ti riconosceranno e verranno da te”.

Aristide rimase un attimo perplesso: proprio non riusciva ad accettare che lui non potesse fare “quack” però era anche vero che quel verso così particolare avrebbe potuto salvare la sua paperfamiglia.

E così vincendo tutte le sue paure, si fece coraggio e iniziò ad urlare: “papermà, paperpà CIOC, CIOC, dove siete, CIOC, CIOC”.

Mentre continuava a ripetere queste frasi, sentì d’improvviso una voce: “Aristide, Quack, quack, Aristide, corri, Quack Quack”.

“Eccoli, li ho visti!” urlò Camille.

Così Aristide si voltò e vide che i suoi paperitori erano bloccati su una piccola zolla di terra circondati da un laghetto che emetteva una puzza tremenda.

“Papermà, Paperpà, CIOC, CIOC, sono qui! Non temete! Arrivo!”

Ma Camille lo fermò in tempo prima che potesse tuffarsi in quel laghetto puzzolente.

“Dobbiamo trovare qualcosa che permetta loro di arrivare qui da noi, se dovessi tuffarti la puzza ti soffocherà e non riuscirai a salvarli”, disse Camille.

“Presto allora, non c’è un attimo da perdere!” disse Aristide.

I due iniziarono ad esplorare quel posto alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarli nel loro intento.

Videro che ai piedi di un albero c’erano tanti piccoli pezzi legno, foglie e una piccola pozzanghera e fu così che Aristide esclamò: “potremmo costruire una zattera, e metterli così in salvo!”

“È un’ottima idea! Prendi quei rami e quelle foglie e useremo il fango della pozzanghera per legare il tutto” affermò Camille.

Aristide raccolse i vari pezzi e Camille prese il fango e…STUFF, SPLOCH, SDONG, prepararono una zattera bella robusta con un due piccoli remi fatti con le foglie e la misero nel laghetto spingendola verso la sua paperfamiglia.

“Papermà, paperpà, salite sulla zattera e con i due piccoli remi navigate fino alla riva, Cioc cioc”, disse Aristide.

I due non se lo fecero ripetere: salirono in fretta sulla zattera e remarono a più non posso fino alla riva dove ad attenderli c’era Aristide che appena li vide toccar terra gli saltò addosso abbracciandoli forte forte.

“Papermà, paperpà perdonatemi se sono fuggito senza dirvi niente, ma tutti non facevano altro che prendermi in giro e io non volevo che anche voi foste causa di scherno” disse tra le lacrime Aristide.

“Figlio mio, noi ti amiamo così come sei e certamente non ci saremo lasciati abbattere da stupide battutine, tu sei il dono più prezioso che la vita ci ha fatto”, disse papermà.

Aristide capì quanto era stato sciocco a pensare di abbandonare le uniche persone che lo avevano sempre accettato ed incoraggiato e promise a sé stesso che non si sarebbe più lasciato demoralizzare dagli altri paperi ma che li avrebbe affrontati.

“Non vorrei interrompere questo momento, ma prima che la puzza ci soffochi dobbiamo uscire di qui”, disse Camille provata da quell’odore nauseabondo.

E così a cavalcioni su Camille, la felice famigliola fu fuori da Orribubosio in un batter di guscio e si misero subito in cammino verso casa.

Una volta giunti a Palmipedilandia, tutto il regno accorse per far festa ai due paperitori, mentre Camille e Aristide stavano in disparte.

I paperitori interruppero però quel momento di festa e dissero: “avete sempre deriso il verso di nostro figlio, e lui perché si sentiva escluso era fuggito via, eppure se non fosse stato per quel suono tanto insolito noi non saremmo mai usciti da Orribubosio”.

Tutti i paperi lì presenti si guardarono con aria attonita e capirono di aver procurato tante sofferenze al povero Aristide e così gli si avvicinarono e gli dissero: “Aristide, ti chiediamo scusa per averti fatto soffrire, avevamo timore di questo tuo verso così diverso dal nostro, ma ti promettiamo che da oggi in poi non sarai più solo, ma che avrai sempre accanto a te tanti amici pronti a supportarti e a sostenerti”

Aristide non riuscì a trattenere le lacrime e disse: “vi ringrazio miei cari papermà e paperpà per tutto quello che avete sempre fatto per me, e mi spiace di avervi fatto stare in pensiero. Ringrazio anche tutti voi miei cari nuovi amici e vi capisco perché anche io odiavo quel mio strano verso. Eppure è stato l’incontro con la mia amica Camille, che mi ha da subito accettato per quello che sono, che mi ha fatto capire che non bisogna aver timore della propria diversità, ma che essa ci rende esseri unici ed irripetibili. Non dobbiamo aver paura di ciò che siamo, ma essere sempre pronti a tendere la propria ala a chiunque incontriamo sul nostro cammino”.

“Ora bisogna festeggiare!”, urlò una commossa Camille.

E tutti esplosero in un fragoroso: Cioc!

 

- Fiaberella
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