Biancabella e la biscia sua sorella
Tanto tempo fa,
regnava in Monferrato un marchese di nome Lamberico; era ricco e potente, però era senza figli.
E per dispetto del destino, più egli desiderava averne, meno riusciva ad ottenerli.
Avvenne però che un giorno la marchesa sua moglie uscì a svagarsi in giardino, e vinta dal sonno, s’addormentò ai piedi di un albero; e così, mentre dormiva beatamente, venne una piccola biscia, la quale le si avvicinò, le si infilò sotto le vesti, e senza che la donna s’accorgesse di nulla, le entrò nel ventre, dove si accomodò e vi prese dimora.
Poco tempo dopo, con la gioia di tutti, la marchesa si scoprì incinta, e giunta al termine del parto, partorì una bimba con una biscia che s’avvinghiò al suo collo per tre volte.
Vedendo questo, le comari che l’allevavano si paventarono molto.
Ma la biscia, senza nuocere in alcun modo alla piccola, si sciolse dal collo, e si attaccò alla balia, la quale stava ancora riposando, e svegliatala, e con lei se ne tornò in casa senza dire niente.
Venuto il giorno seguente, ed essendo Biancabella in camera da sola con la madre, che, vedendola piena di malinconia, le domandò: “Che hai tu, Biancabella? Mi sembri così triste e mesta, invece prima eri sempre allegra.”
E la figliuola rispose: “Vorrei soltante due vasi, che fossero portati nel giardino: uno di questi dovrebbe essere pieno di latte e l’altro di acqua di rose.”
“E’ solo questo che ti preoccupa, figliuola mia?” disse la madre, “Non sai che qui ogni cosa è tua?”
E così dicendo, fece preparare un vaso di latte e uno di acqua di rose, e li fece portare in giardino.
Biancabella, venuta l’ora, secondo l’ordine che le aveva dato la biscia, senza farsi accompagnare da nessuna damigella, se n’andò al giardino; ed aperto l’uscio, si chiuse dentro da sola, e si mise a sedere vicino ai vasi.
Com’ella si sedette, la biscia le si avvicinò e la fece spogliare, dicendole di entrare nuda dentro al vaso di latte, e la lavò da testa ai piedi; dopo, la fece entrare nel vaso con l’acqua di rose, e questo bagno le diede un bel refrigerio.
Quindi la rivestì, comandandole espressamente di non parlare con nessuno di quello che era successo, nemmeno con i suoi genitori, perché voleva al mondo non ci fosse un’altra donna che potesse eguagliarla in bellezza e gentilezza, quindi, dopo averle fatto dono di ogni virtù, sparì.
Biancabella uscì dal giardino e ritornò a casa; la mamma, vedendola così particolarmente bella come non l’aveva mai vista, restò senza parole, e le domandò per quale prodigio fosse diventata così splendida.
Biancabella rispose che non sapeva nulla, allora la madre cominciò a pettinarla per acconciarle le trecce: e per incanto, perle e pietre preziose le cadevano dal capo; se le lavava le mani, uscivano rose, viole e ridenti fiori di vari colori con tanta soavità di profumi, che pareva di stare nel paradiso terreste.
A questa vista, la madre corse a raccontare tutto a Lamberico; e con materna allegrezza gli disse: “Marito mio, noi abbiamo la figliuola più gentile, più bella e più leggiadra che esista al mondo. Ed oltre alla divina bellezza e leggiadria che in lei chiaramente si vede, dai suoi capelli escono perle, gemme ed altre preziosissime gioie: e dalle candide mani, oh che meraviglia! Vengono rose, viole e d’ogni tipo di fiori, così profumati che pare di stare in paradiso. Non l’avrei mai creduto, se non l’avessi visto con i miei occhi.”
Il marito, che per natura era incredulo e non prestava così facilmente fede alle parol della moglie, rise di ciò e la prese in giro; pur fieramente stimolato da lei, volle vedere che cosa usciva da questa storia, e mandò a chiamare la figliuola, e trovò con i suoi occhi che la moglie aveva assolutamente ragione.
Allora fu talmente contento, che dichiarò che mai sarebbe nato al mondo un uomo degno di lei.
Ben presto si diffuse per tutto il mondo la gloriosa fama dell’immortale bellezza di Biancabella; e molti re, principi e marchesi venivano da ogni parte, con la speranza di conquistare il suo amore e la sua mano.
Ma nessuno di loro fu giudicato alla sua altezza, poiché tutti difettavano in qualcosa.
Finalmente un giorno si presentò Ferrandino, re di Napoli, il cui valore e gloria erano noti a tutti; e rivolgendosi al marchese, gli chiese la figlia in moglie.
Il marchese, vedendolo bello e valoroso, oltre che molto potente e ricco, concesse le nozze; e chiamata la figliuola, la presentò al futuro marito, il quale la prese per mano e la baciò.
Si era appena sposata, che Biancabella si ricordò delle parole che Samaritana sua sorella amorevolmente le aveva detto; allora si allontanò dallo sposo, e fingendo di voler fare certi suoi affari, se ne andò in camera, e, chiusasi dentro, se ne sgattaiolò fuori in giardino senza farsi vedere, e a bassa voce cominciò a chiamare Samaritana, ma quella non venne, allora Biancabella si meravigliò molto; e non trovandola da nessuna parte del giardino, si rattristò molto, temendo che fosse capitato per colpa sua, per non essere stata attenta alle sue raccomandazioni.
Onde rammaricandosi tra sé stessa, ritornò in camera; ed aperto l’uscio, si pose a sedere appresso il suo sposo, che lungamente aspettata l’aveva.
Alla fine della festa di nozze, Ferrandino tornò a Napoli con sua moglie, dove con gran pompa e glorioso trionfo e sonore trombe gli sposi furono ricevuti con grande onore.
Il caso volle che Ferrandino avesse una matrigna con due figlie brutte e perfide; essa desiderava che almeno una di loro potesse convogliare a nozze con il figliastro, ma avendo perso ogni speranza che ciò potesse accadere, cominciò a covare nei confronti di Biancabella odio e rabbia, da non volerla più vedere né sentire, fingendo però tuttavia d’amarla ed averla cara.
Destino volle che il re di Tunisi fece e non fece pur di dichiarare guerra a Ferrandino: non so se questo fu a causa del suo matrimonio, o per un’altra ragione; e col suo potentissimo esercito varcò ben presto i confini del suo reame.
Allora Ferrandino dovette per forza affrontasse il nemico in guerra; allora si preparò a partire, e raccomandò Biancabella, che era incinta, alla matrigna, e poi partì con il suo esercito.
Non passarono molti giorni, che la malvagia matrigna decise che Biancabella doveva morire; e chiamati certi suoi fidati servi, e ordinò loro che la portassero lontano per ucciderla, consegnandole poi qualche segno della sua morte.
I servi, pronti ad ubbidire e fingendo di andare in un certo posto, la condussero in uno bosco dove si prepararono ad ucciderla: ma vedendola così bella e graziosa, gli venne pietà, e non se la sentirono di toglierle la vita.
Allora le tagliarono entrambe le mani e gli occhi dal capo, e li portarono alla suocerastra come prova della sua morte.
A quella vista, la cattiva donna si rallegrò il cuore.
La matrigna seminò poi nel regno la notizia che la giovane sposa si era gravemente ammalata, e che le sue due figlie, contagiate dallo stesso malanno, non avendo resistito, erano morte; ma lei una la nascose e l’altra la mise nel letto della regina, a fingere di essere Biancabella.
Ferrandino, che ben presto uscì vittorioso dal conflitto, si apprestava a ritornare gloriosamente a casa, e credendo di ritrovare la sua diletta Biancabella tutta festosa e gioconda, la trovò invece smagrita e malaticcia che giaceva ferma in un letto.
Ed accostatosi a lei, e guardandola fisso nel volto e vedendola così deturpata, rimase di stucco, non riuscendo a riconoscerla; allora la fece pettinare, ma invece di gemme e pietre preziose che in passato le cadevano dalla testa, adesso uscivano grossissimi pidocchi le divoravano il volto: e dalle mani, dove prima uscivano rose e fiori, ora era tutta sporcizia e luridume che stomacava chi le stava vicino.
Ma la scellerata donna lo confortava, e gli diceva che questa disgrazia avveniva a causa della lunga malattia che l’aveva indebolita.
Dunque la povera Biancabella, quella vera, con le mani monche e cieca da entrambi gli occhi, da giorni vagava sola e disperata nella lontana foresta, chiamando sempre e invocando la sorella Samaritana che le venisse in aiuto; ma non c’era nessuno che potesse risponderle se non la risonante eco che per tutta l’aria si udiva.
Mentre l’infelice donna se ne stava lontano da casa sua, vedendosi priva di ogni aiuto umano, ecco entrare nel bosco un uomo molto attempato, benigno di aspetto e molto compassionevole, il quale, uditi quei pietosi lamenti, piano piano si avvicinò, e trovò la giovane cieca e monca delle mani che si disperava per la cattiva sorte.
Il buon vecchio, la vide e non se la sentì di lasciarla lì in quelle condizioni, e, vinto da paterna compassione, se la portò a casa e la raccomandò a sua moglie, imponendole rigorosamente che si prendesse cura di lei.
E inoltre si raccomandò alle sue tre figliuole, che erano tre stelle, affinché le tenessero buona compagnia, facendole carezze e non facendole mancare nulla.
La moglie, che era anch’essa più crudele che pietosa, s’accese di rabbia, si volse impetuosamente contro il marito, e disse: “Beh, marito, che ce ne facciamo di questa femmina cieca e monca, che per quel che ne sappiamo potrebbe anche essere una poco di buono?”
A cui il vecchiarello con sdegno rispose: “Fà ciò che io ti dico; e non farai come ti chiedo, non aspettarmi più a casa.”
Così la povera Biancabella rimase nella casetta con la moglie del vecchio e le sue tre figliuole, e riflettendo con loro di varie cose, e pensando tra sé stessa alla sua sciagura, pregò una delle figliuole di pettinarla un pò.
La qual cosa diede sdegno alla madre, che non voleva che le sue figlie facessero da servette a lei.
Ma la figliuola, che era più buona della madre, ricordando le raccomandazioni che aveva fatto il padre, e vedendo non so che dell’aspetto di Biancabella che ispirava buoni sentimenti, si tolse il grembiule di bucato che portava, e, stesolo in terra, la pettinò con amore.
Appena cominciò così, dalle bionde trecce della sventurata, presero a scaturire perle, rubini, diamanti ed altre preziose gioie.
Vedendo questa meraviglia, la madre rimase stupefatta: e l’odio grande, che prima le serbava, si convertì in affetto, e ritornato il vecchiarello a casa, tutte corsero ad abbracciarlo, rallegrandosi molto con lui della sopraggiunta ventura a tanta povertà.
Biancabella si fece portare un secchio d’acqua fresca, si fece lavare il viso ed i monchi, dai quali, tutti videro scaturire rose, viole e fiori in abbondanza.
Allora pensarono tutti che quella candida fanciulla fosse una creatura divina.
Un giorno Biancabella disse che desiderava ritornare sul luogo dove il vecchio l’aveva trovata.
Ma il vecchio, la moglie e le figliuole, vedendo il bene che ella aveva fino a quel momento loro fruttato, l’accarezzarono, pregandola di non partire, dandole molte buone ragioni per non farlo.
Ma ella, salda nel suo volere volle a tutti i costi partire, promettendo tuttavia di ritornare.
Allora il vecchio senza indugio la riportò sul luogo.
Ed ella gli impose poi di andarsene, per ritornare a sera a riprenderla.
Partito dunque il vecchiarello, la sventurata Biancabella cominciò a vagare per il bosco, in cerca di Samaritana; e le strida ed i lamenti andavano fino al cielo.
Ma Samaritana, quantunque fosse segretamente vicino, né l’avesse mai abbandonata, non voleva risponderle.
La miserella, vedendosi spargere le parole al vento, disse: “Che ci resto a fare io, sola al mondo, dopo che mi hanno privato degli occhi e delle mani, e mi hanno lasciato sola e abbandonata?”
Ed accesa da un furore che le diede alla testa, come disperata, improvvisamente volle farla finita.
Ma non sapendo come fare, s’avviò all’acqua, lì vicino, per tuffarvisi, e giunta sulla riva stava già per gettarsi dentro, quando udì una voce stridula che diceva: “Ahimè, non lo fare, non fare il peccato di toglierti la vita che Dio t’ha donato! Conservatela per un avvenire migliore.”
Allora Biancabella si sentì arricciare i capelli dalla sorpresa, poiché le sembrava di riconoscere quella voce, e piena di ardore, disse: “Chi sei tu che vai errando per questi luoghi, con questa voce dolce e pia, senza farti vedere?”
Rispose la voce: “Io sono tua sorella Samaritana, che hai chiamato fino adesso con tanta insistenza.”
A queste parole, Biancabella, con la voce interrotta dai singhiozzi, le disse: “Ah! sorella mia, aiutami ti prego; e se io ho fatto l’errore di non seguire i tuoi consigli, ti chiedo perdono. Ti confesso, sorellina, che sinceramente il mio errore fu per ignoranza, non per malizia; perché se fosse stato per malizia, la divina provvidenza non me l’avrebbe condonato tanto a lungo.”
Samaritana, udito il compassionevole lamento, e vedendola così malridotta, la confortò affettuosamente; e raccolte certe erbucce di meravigliosa virtù, gliele mise sopra gli occhi, e giungendo due mani alle braccia, la risanò all’istante.
Dopo di ciò, Samaritana, abbandonò la squallida scorza di biscia, e davanti a Biancabella si presentò una bellissima fanciulla.
Il sole cominciò a calare, e le tenebre della notte cominciavano ad apparire, quando il vecchietto giunse velocemente nel bosco, e trovò Biancabella seduta con un’altra ninfa.
E guardandola nel chiaro dagli occhi chiari, egli rimase stupefatto, quasi non riconoscendola.
Ma poi la riconobbe, e le disse: “Figliuola mia, voi stamattina eravate cieca e monca; come avete fatto a guarire così in fretta?”
Biancabella rispose: “E’ solo merito delle virtù di questa giovane fanciulla qui seduta vicino a me, che è mia sorella.”
E allora entrambe si alzarono in piedi e insieme al vecchio se ne andarono alla casetta, dove furono accolte con allegria dalla moglie e dalle figlie.
Erano già passati parecchi giorni, quando Samaritana, Biancabella ed il vecchio con la moglie e con le tre figliuole si trasferirono alla città di Napoli, e trovando un posticino tranquillo e libero, proprio al dirimpetto del palazzo del re, si sedettero a riposare.
E venuta la buia notte, Samaritana, presa una vergella di lauro in mano, percosse tre volte la terra dicendo certe parole; le quali, appena furono pronunciate, scaturì il più bello e superbo palazzo mai visto.
La mattina dopo, Ferrandino si affacciò alla finestra, e vide il ricco e meraviglioso palazzo, restando tutto attonito e stupefatto.
E chiamata la moglie e la matrigna, lo vennero a vedere. Ma quelle furono parecchio contrariate, sospettando che ci fosse dietro qualcosa di losco.
Ma Ferrandino rimase a contemplare il palazzo, ed avendolo ben valutato, alzò gli occhi e vide dalla finestra d’una camera due matrone che di bellezza facevano invidia al sole.
E nel vederle, gli venne una fitta al cuore, poiché gli pareva riconoscere Biancabella in una di loro.
Allora subito a chiedere chi fossero e da dove venissero, e gli fu risposto che erano due donne straniere, che venivano dalla Persia con i loro averi, per abitare in quella gloriosa città.
Allora egli volle sapere se poteva recarsi in visita a casa loro, ed esse gli risposero favorevolmente, ma che era più conveniente ed onesto ch’elle, come suddite, andassero da lui.
Ferrandino, fatta chiamare la regina e le altre donne, prima che queste cambiassero idea, si recò subito con loro al palazzo delle sue nuove vicine, le quali lo accolsero con gentile e riverente ospitalità, mostrandogli le ampie logge e le spaziose sale e camere ben arredate, le cui mura erano d’alabastro e porfido fino, e le grandi scalinate del palazzo.
Dopo aver mostrato il pomposo palazzo, la bella giovane, accostatasi al re, dolcemente lo pregò che acconsentisse con la sua donna di voler un giorno pranzare con loro.
Il re, che non aveva il cuor di pietra ed era di natura magnanimo e liberale, accettò l’invito di buon grado.
E dopo aver fatto gli onori, da buon ospite, alle padrone di casa, se ne tornò a casa sua con la sua regina.
Il giorno del pranzo, il re, la regina e la matrigna, regalmente vestite ed accompagnate da diverse matrone, andarono ad onorare la magnifica tavola già lautamente apparecchiata.
E porgendo l’acqua per le mani, il siniscalco mise il re e la regina ad una tavola molto più adeguata delle altre, e dopo fece sedere tutti gli altri: e finalmente pranzarono tutti insieme in tranquillità.
Finito il pomposo pasto e tolte le tavole, Samaritana si alzò in piedi; e rivolgendosi al re e alla regina, disse: “Signore, dal momento che stiamo qui tutti in ozio, qualcuno proponga qualcosa di piacevole da fare.”
Tutti si dissero d’accordo, ma nessuno proponeva nulla, allora, vedendo che tutti tacevano, Samaritana disse: “Visto che nessuno propone, se Vostra Maestà me lo permette, farò venire una delle nostre donzelle a intrattenerci con il canto.”
E fatta chiamare una damigella di nome Silveria, le comandò di prendere la cetra in mano per cantare qualche bella canzone al re.
La quale, ubbidiente alla sua signora, prese la cetra; si avvicinò al re, e con una vocina soave e delicata, toccando col plettro le corde, raccontò la storia di Biancabella, senza però menzionarla per nome.
E giunta alla fine della storia, Samaritana si alzò, e domandò al re quale giusta pena meritasse la persona che si fosse macchiata di quella colpa.
La matrigna, che sveltamente nel cervello cercava già di nascondere la sua colpa, pensando di essere furba, non aspettò la risposta del re, ma audacemente disse: “Una fornace rovente non sarebbe ancora una punizione sufficiente per quello che ha commesso questa persona, meriterebbe anche di peggio.”
Allora Samaritana, con il viso improvvisamente avvampato, rispose: “E proprio tu sei quella donna crudele, rea di questo crimine commesso. E adesso, tu, da sola, malvagia e maledetta donna, ti sei condannata con le tue stesse mani!” disse Samaritana, e rivolgendosi al re, tutta felice in volto, gli disse: “Questa è la vostra Biancabella! La vostra amata moglie! Questa è colei senza la quale voi non potevate vivere!”
E per dimostrare che diceva il vero, comandò alle tre donzelle, figliuole del vecchietto, che in presenza del re le pettinassero i biondi e ricci capelli: dai quali, come si è detto prima, ne uscivano le care e dilettevoli gioie, e dalle mani scaturivano mattutine rose ed odorosi fiori.
E per maggior certezza dimostrò al re il candidissimo collo di Biancabella, intorniato da una catenella di finissimo oro, che tra carne e pelle traspariva naturalmente come cristallo.
Il re, che ebbe la prova che la bella fanciulla che aveva davanti era veramente la sua amata Biancabella, cominciò a piangere ed abbracciarla teneramente.
Allora fece accendere una fornace, e la matrigna e le figliuole furono buttate dentro, le quali, non essendosi pentite in tempo della loro cattiveria, videro messa fine alla loro misera vita.
In seguito, le tre figliuole del vecchietto furono onorevolmente maritate a tre bravi uomini, e re Ferrandino con la sua Biancabella e Samaritana, visse a lungo, lasciando dopo sé eredi legittimi del suo regno.
- Fiaberella