Favetta
Dunque, c’era una volta un re che aveva una bella figlia.
L’astrologo aveva detto che, un giorno o l’altro, per virtù di un raggio di sole, la bella figlia sarebbe rimasta gravida.
Figuratevi il padre! “Gravida?”
Pensò di chiudere la figlia in una torre dove non c’erano finestre.
La figlia aveva per compagnia molte damigelle.
Le damigelle non facevano altro che mettere olio alle lucerne, che ardevano giorno e notte.
La figlia del re si annoiò durante quella prigionia.
E ogni sera, quando si chiudeva in camera per mettersi a letto, lavorava e lavorava, cercando di fare un buco nel muro.
Finì il buco in una notte; si affacciò, e vide svolazzare molti uccelli, mentre il sole spuntava.
Nel ricevere il primo raggio di sole, svenne e cadde.
Le damigelle accorsero al rumore, e spruzzarono acque odorose sul pallido viso della svenuta, e la giovane rinvenne; ma da allora non si sentì più bene.
Il buco fu subito rimurato, e fecero sapere al re che la figlia era inferma.
Il re mandò un medico, il quale, purtroppo, si accorse che la malata era gravida.
Le damigelle cercarono di convincere il medico a non dire nulla al re, e gli raccontarono la disgrazia del buco e del raggio di sole.
Il medico si piegò, anche perché pensava che se avesse rivelato la cosa, per la figlia del re sarebbe finita, e pure per le damigelle.
Disse dunque al re che la malattia della figlia non era grave.
Poco dopo, la reginella partorì una bambina, e le dame si affrettarono a gettare la creatura in un campo di fave.
Un figlio di re passò per caso in mezzo a quel campo, e raccolse la bambina, e la portò al suo palazzo.
La bambina piacque, fu allevata a corte, e la chiamarono Favetta.
Favetta cresceva a vista d’occhio, e si faceva ogni giorno più bella.
Quando arrivò a dodici anni, il figlio del re se la voleva sposare, ma la mamma gli rispose col sangue ai denti:
«Cosa dici? Ti vuoi sposare con una trovatella? Il mio consenso non l’avrai né oggi, né mai.»
Il figlio del re amava perdutamente Favetta, però non voleva neppure dare un dispiacere a sua madre.
E perciò, quando la madre gli disse: «Figlio, tu devi sposare una principessa: così voglio io», il figlio non si ostinò.
Si celebrarono dunque le nozze con la principessa, e Favetta rimase da sola, chiusa in un appartamento.
Ma mentre era a tavola, lo sposo si ricordò di Favetta, e le mandò alcuni dolci. Favetta disse alle damigelle che recarono il dono: «Aspettate un po’: voglio contraccambiare.»
S’avvicinò al camino, e disse: «Fuoco, appicciati» e il fuoco si accese.
E poi: «Padella con lo strutto, infuocati» e la padella s’infuocò.
Allora Favetta mise le mani dentro alla padella dove bolliva lo strutto, e ne cavò fuori un guanto d’oro, dicendo alle damigelle: «Portate questo agli sposi.»
Le fanciulle recarono il guanto d’oro agli sposi, e raccontarono tutte le operazioni di Favetta.
Lo sposo rimase a bocca aperta, ma la sposa, che era rosa dall’invidia, disse con superbia: «Questo lo so fare anch’io!»
Comandò al fuoco e alla padella: ma né l’uno né l’altra risposero, e, per compassione, lo fecero le dame.
Intanto la padella bolliva, e la sposa vi mise le mani dentro, sperando di cavarne fuori il guanto d’oro, ma invece cavò un palmo di lingua, rivoltò gli occhi e morì di spasimo.
Passò qualche tempo, e il figlio del re sposò un’altra principessa.
Ma mentre stava a tavola, si ripeté la scena del dono, ma quella volta, Favetta non si rivolse alla padella; si raccomandò al forno e gli disse: «Forno, accenditi» e il forno si accese.
Favetta entrò nel forno acceso, e poi tornò fuori con in mano una pizza d’oro, e la consegnò alle damigelle.
Gli invitati si meravigliarono della bella pizza, ma più che altro, per il modo in cui era stata fatta.
La nuova sposa, però, disse: «Non ci vuol molto a fare tutto questo, state a vedere.»
Fece mettere della stipa nel forno, e come il forno fu bello rovente, la sposa vi entrò risoluta.
Ma subito digrignò i denti e si sentì friggere! La sposa era andata a farsi friggere!
Il figlio del re sposò una terza principessa.
Le nozze, però, si fecero in una villa, dove c’era una gran sala col tetto di cristallo.
Favetta lo seppe, e se ne andò sul tetto di cristallo a ricamare, e si dondolò sulla sedia senza mai cadere.
Il figlio del re disse alla sposa: «Ma vedi quante ne fa quella matta?»
«Son cose da nulla! Chi non le saprebbe fare? Anzi, voglio farlo anch’io.»
Salì sul tetto di cristallo e si mise a ricamare e a dondolarsi con la sedia, ma alla prima prova sdrucciolò, si rotolò, e cadde da quella grande altezza.
La terza sposa, dunque, diventò una pizza.
E il figlio del re disse alla madre: «O mi dai Favetta o io mi ammazzo!»
La madre, che a dire il vero, era rimasta pure lei sbalordita dai prodigi di Favetta, gli diede il consenso.
Il giovane andò da Favetta e le disse: «Mille saluti a Favetta. Mamma acconsente alle nostre nozze.»
«Ma adesso non acconsento più io.»
«Come?»
«Eh già!»
«Ma via!»
«No!»
E infine disse: «E va bene, ma ad un patto: voglio mettermi da sola e di nascosto l’abito da sposa.»
«Fa’ come vuoi.» Favetta si chiuse in camera per vestirsi da sposa.
Era notte; i lumi cominciarono a spegnersi, e la sposa disse ai lumi: «Questo dispetto non conta. Io sono la figlia del sole!»
E uscì dalla camera con un abito tutto luminoso, che abbagliava la vista.
- Fiaberella