Il vecchio lampione

Hai mai sentito la storia del vecchio lampione?

Non è molto divertente, ma la si può sempre ascoltare per una volta.

Era un buon vecchio lampione, che per moltissimi anni aveva prestato servizio, ma ora doveva essere scartato.

Era l’ultima sera che stava sul palo a illuminare la strada, e gli sembrava di essere una vecchia comparsa di balletto, che balla per l’ultima volta e sa che l’indomani resterà in soffitta.

Il lampione aveva una paura terribile per l’indomani mattina, perché sapeva che doveva andare per la prima volta in municipio, davanti al consiglio dei Trentasei, i quali avrebbero deciso se fosse ancora idoneo al servizio.

Poi avrebbero stabilito se doveva essere mandato a illuminare in periferia o in una fabbrica in campagna, o se invece non doveva venire inviato in una fonderia per essere fuso; in questo caso sarebbe potuto diventare qualunque cosa, ma lo preoccupava il fatto che non sapeva se avrebbe conservato il ricordo di essere stato lampione di città.

E in tutti i casi sarebbe stato separato dalla guardia notturna e da sua moglie, che considerava ormai come la sua famiglia.

Quando lui era diventato lampione, l’altro era diventato guardia notturna.

La moglie allora si dava delle arie, e solo se passava di sera davanti al lampione lo guardava, mai di giorno.

Adesso, al contrario, negli ultimi anni, da quando tutti e tre – la guardia, la moglie e il lampione – erano diventati vecchi, la moglie si era presa cura di lui, gli aveva spolverato la lampada e vi aveva versato l’olio.

Quella coppia era gente onesta; non avevano mai tolto al lampione una sola goccia.

Era l’ultima sera per la strada, e l’indomani doveva andare al municipio; con quei due pensieri tristi ci si può immaginare come illuminasse!

Ma gli venivano anche altri pensieri; aveva visto tante cose, aveva illuminato tante cose, forse tante quante ne avevano fatte i Trentasei del consiglio, ma non lo disse perché era un bravo lampione e non voleva offendere nessuno tanto meno i suoi superiori.

Ricordava molte cose e ogni tanto una fiamma si levava da dentro, come avesse la sensazione che qualcuno si sarebbe sempre ricordato di lui.

Ora era quel bel giovane, oh, quanti anni fa!

Arrivò con una lettera scritta su carta rosa, così delicata e con i bordi d’oro, scritta così bene, da una mano femminile la lesse due volte, la baciò e poi guardò in alto verso di me e con gli occhi mi disse: sono l’uomo più felice!

Sì, solo lui e io sapevamo che cosa c’era scritto nella prima lettera della sua amata.

Ricordo altri due occhi, che strano, come si può saltare da un pensiero all’altro!

Qui nella strada c’era uno splendido funerale, una bella giovinetta si trovava nella bara, sul carro di velluto c’erano molti fiori e molte corone, e tante fiaccole illuminavano che io rimasi stordito.

Il marciapiede era pieno di gente, tutti seguivano il carro, ma quando le fiaccole furono fuori dalla mia vista e mi guardai intorno, c’era ancora una persona vicino al palo, e piangeva; non dimenticherò mai quegli occhi addolorati che guardavano verso di me!

Così vennero in mente tanti altri pensieri al vecchio lampione, che quella sera illuminava per l’ultima volta.

La sentinella che smonta conosce il suo successore, e può scambiare due parole; il lampione invece non conosceva il suo sostituto e non poteva quindi neppure dargli qualche consiglio, sulla pioggia e sull’umidità, su quanto la luna illumina il marciapiede, o su come soffia il vento.

Sulla passerella del rigagnolo si trovavano tre tipi che si erano presentati al lampione perché pensavano toccasse a lui affidare l’incarico a qualcun altro; uno di loro era una testa d’aringa che luccicava al buio e pensava che ci sarebbe stato un bel risparmio di olio, se fosse stata messa sul palo del lampione il secondo era un pezzo di legno marcio, che pure un poco brilla, e, come diceva lui stesso, sempre più di un baccalà oltretutto era l’ultimo pezzo di legno di un albero che era stato uno splendore nel bosco.

Il terzo era una lucciola, da dove venisse, il lampione non riuscì a immaginarlo, ma ormai c’era e faceva anche luce; ma il legno marcio e la testa d’aringa giurarono che questa brillava solo in certi periodi e quindi non andava presa in considerazione.

Il vecchio lampione disse che nessuno di loro illuminava abbastanza per fare da lampione, ma nessuno gli credette; quando poi seppero che non toccava al lampione affidare l’incarico a qualcuno, dissero che ne erano felici, dato che lui era troppo vecchio per poter scegliere.

Intanto dall’angolo della strada sopraggiunse il vento e si mise a fischiare nello sfiatatoio del lampione, dicendo: «Cos’è che ho sentito? Te ne vai domani? È quindi l’ultima sera che ti incontro qui? Oh, allora devi avere un regalo! Adesso ti soffierò nel cranio, così non solo ricorderai benissimo e con precisione ciò che hai visto e sentito, ma quando leggeranno o racconteranno qualcosa nelle tue vicinanze, sarai così lucido da vedere tutto!».

«È fin troppo» esclamò il vecchio lampione. «Grazie mille! Purché non venga fuso.»

«Non accadrà adesso» disse il vento. «Ora ti rinfresco la memoria. Se avrai altri regali come questo, passerai una piacevole vecchiaia.»

«Purché non venga fuso!» ripeté il lampione. «Mi assicuri che anche in questo caso non perderò la memoria?»

«Vecchio lampione, sii ragionevole!» rispose il vento, soffiando. Intanto spuntò la luna. «Che cosa gli regala?» chiese il vento.

«Io non regalo niente» rispose la luna. «Io sono calante e i lampioni non hanno mai brillato per me, anzi io ho illuminato al posto loro!» e intanto si nascose dietro le nuvole per non essere disturbata.

Poi cadde una goccia d’acqua proprio sullo sfiatatoio, era come una goccia di grondaia, ma raccontò che veniva dalle grigie nuvole e che era un regalo, forse il migliore.

«Io penetro in te e tu avrai la capacità, in una sola notte, quando lo desideri, di arrugginire tutto, così da sfasciarti e diventare polvere.»

Ma il lampione pensava che quello fosse un brutto regalo, e lo stesso pensava il vento. «Chi offre di meglio? chi offre di meglio?» soffiò più forte che poté; allora cadde una stella luminosa, che brillò formando una lunga striscia.

«Che cos’è?» gridò la testa d’aringa.

«Non è caduta una stella? Credo che sia entrata nel lampione! Va bene, se l’incarico è ricercato anche da persone così altolocate, allora possiamo andarcene subito!» e così fecero sia lei che gli altri.

Il vecchio lampione brillò con una strana intensità. «Che bel regalo!» disse.

«Le chiare stelle, che mi hanno sempre recato piacere e che brillano così deliziose, come io mai ho saputo fare nonostante sia sempre stata la mia massima aspirazione, hanno notato proprio me, povero vecchio lampione, e ne hanno mandata una con un regalo per me: la capacità di far vedere anche a coloro che amo tutto ciò che io ricordo o vedo chiaramente. Solo questa è la vera gioia, perché quando non la si può dividere con gli altri, non è gioia completa!»

«È un pensiero molto elevato» disse il vento «ma forse non sai che per questo occorre una candela di cera. Se non viene accesa una candela di cera dentro di te, nessuno degli altri potrà vedere qualcosa. Le stelle non ci hanno pensato, perché credono che tutto quanto brilla contenga almeno una candela di cera. Ma ora sono stanco» concluse il vento «vado a coricarmi!» e così fece.

Il giorno dopo, beh! Il giorno dopo lo possiamo saltare; la sera dopo il lampione si trovava su una poltrona, ma dove? a casa della vecchia guardia notturna.

Egli aveva chiesto ai Trentasei del Consiglio, per il suo lungo servizio prestato, di poter conservare il vecchio lampione; loro avevano riso della sua richiesta, ma glielo avevano dato e così il lampione si trovò sulla poltrona vicino alla stufa, e gli sembrò quasi di essere cresciuto, dato che la occupava quasi tutta.

I due vecchi stavano cenando e gettavano occhiate affettuose al lampione che avrebbero voluto a tavola con loro.

La loro stanza, è vero, era in un seminterrato, a circa due metri sotto il livello stradale e per arrivarci bisognava attraversare un androne con l’impiantito di selci; ma faceva caldo, perché avevano messo strisce di stoffa alla porta; la casa era pulita e ordinata, c’erano tende al letto e alle finestrelle, e sul davanzale due strani vasi di fiori.

Christian il marinaio li aveva portati a casa dalle Indie orientali o occidentali: erano due elefanti d’argilla, senza schiena perché al posto della schiena c’era la terra dove crescevano, in uno splendidi porri – l’orticello dei due vecchi – e nell’altro, un bellissimo geranio in fiore – il loro giardinetto.

Alla parete era appeso un grande quadro a colori, raffigurante “Il Congresso di Vienna” con tutti i re e gli imperatori in una volta sola.

Un orologio a muro con pesanti pendoli faceva tic! tac! sempre troppo in fretta, ma era meglio che corresse piuttosto che andasse adagio, dicevano i vecchi.

Essi cenarono, mentre il vecchio lampione stava, come già detto, sulla poltrona vicino alla stufa.

Al lampione sembrò che il mondo fosse stato messo sottosopra.

Ma quando la vecchia guardia guardò verso di lui e cominciò a parlare di quello che loro due avevano vissuto insieme, con la pioggia e l’umidità, durante le chiare brevi notti estive o quando la neve cadeva così fitta che era bello tornare a casa, nel sotterraneo, allora tutto tornò normale per il vecchio lampione, che rivedeva tutto come se stesse ancora accadendo; sì, il vento gli aveva soffiato dentro proprio bene!

Quei vecchietti erano davvero gentili e pieni di energia, non oziavano neppure un’ora; la domenica pomeriggio tiravano fuori ora un libro, ora un altro, di solito una descrizione di viaggi, e il vecchio leggeva a voce alta dell’Africa, dei grandi boschi e degli elefanti che giravano liberi; la vecchia ascoltava attentamente e dava un’occhiata agli elefanti di argilla che erano vasi di fiori.

«Me li posso immaginare» diceva.

Allora il lampione desiderava di cuore che ci fosse una candela di cera da mettergli dentro e da accendere, perché così anche lei avrebbe visto tutto molto chiaramente, proprio come il lampione stesso vedeva i grandi alberi, i rami fitti che si attorcigliavano tra loro, gli uomini neri, nudi, a cavallo e le mandrie di elefanti che con le zampe enormi calpestavano canne e cespugli.

“A che cosa servono le mie capacità, se non c’è neppure una candela di cera?” sospirava il lampione “qui hanno solo olio o candele di sego, e non mi basta!”

Un giorno arrivò nel seminterrato un pacchetto di candele di cera usate, i pezzi più grossi vennero bruciati, quelli più piccoli usati dalla vecchia per incerare il filo con cui cuciva.

Adesso c’erano le candele di cera, c’erano, ma a nessuno venne in mente di metterne un pezzettino nel lampione.

“Me ne sto qui con le mie virtù!” esclamò il lampione “ho tutto dentro di me, ma non posso dividerlo con nessuno! Loro non sanno che potrei trasformare queste bianche pareti nei più bei tappeti, in ricchi boschi, in tutto quello che desiderano! Non lo sanno!”

Il lampione, del resto sempre ben pulito, se ne stava in un angolo dove cadevano tutti gli sguardi; la gente diceva che era una anticaglia, ma ai due vecchi non importava. Loro erano affezionati al lampione.

Un giorno, era il compleanno della guardia notturna, la vecchia si avvicinò al lampione e sorrise in modo strano dicendo: «Voglio illuminarlo per lui!».

Così il lampione cigolò nel suo coperchio, perché pensò: «Ora illuminerò le loro menti!», ma lei usò l’olio e non la candela di cera, così lui brillò per tutta la sera, ma sapeva ormai che il regalo ricevuto dalle stelle, il regalo più bello di tutti, sarebbe rimasto un tesoro morto per questa vita.

Allora sognò, perché quando si hanno certe capacità, si può anche sognare; sognò che i due vecchi erano morti e che lui era finito in una fonderia e doveva essere fuso; era molto impaurito, proprio come quando era dovuto andare dai Trentasei del Consiglio ma, pur avendo la facoltà di arrugginire e trasformarsi in polvere, se l’avesse voluto, non lo fece e così finì nella fornace e diventò un bellissimo candeliere di ferro, dove si poteva mettere una candela di cera.

Aveva la forma di un angelo con un mazzetto di fiori e in mezzo ai fiori venne posta una candela di cera, poi il candeliere fu collocato su una scrivania verde, in una stanza così bella, con tanti libri e con molti quadri appesi: era la casa di un poeta e tutto quello che lui pensava o scriveva prendeva forma intorno a lui; la stanza si trasformava in profondi boschi scuri, in prati illuminati dal sole, dove la cicogna passeggiava, oppure nel ponte di una nave in mezzo al mare ingrossato!

“Che capacità possiedo!” disse il vecchio lampione quando si svegliò. “Desidero quasi essere fuso! Ma, no, non deve accadere finché vivono i due vecchi. Mi vogliono bene per quello che sono. Sono come un figlio per loro, mi hanno tenuto da conto e mi hanno dato l’olio. E io mi trovo proprio bene qui come ‘Il Congresso’ che pure è una cosa così distinta!”

Da quel momento ebbe una maggior pace interiore, e se l’era meritata, quel buon vecchio lampione!

- Fiaberella
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