La favola d'Ohimè

C’erano una volta,

due ragazze che stavano in campagna in due casette vicine.

Una si chiamava Maria ed era buona, e quell’altra si chiamava Lisa ed era cattiva; ma siccome da quelle parti non c’era nessun altro per avere un po’ di compagnia, andavano in giro insieme e insieme si ritrovavano a lavorare.

Erano povera gente e campavano raccogliendo un po d’erba lungo i fossi e raccogliendo legna nei boschi.

Maria aveva solo il babbo, un uomo buono, un povero vecchio che non riusciva più a combinare nulla di buono, e Lisa aveva solo la mamma, cattiva come lei.

Un giorno le due ragazze andarono nel bosco a cercare un po’ di radicchio, e a un certo punto si separarono, accordandosi di ritrovarsi lì prima dell’avemmaria.

E così s’avviarono, per cercare i radicchi.

Maria non riusciva a trovarne nemmeno l’ombra, ma cerca e cerca a un certo punto ne vide uno tanto grande che non sapeva come fare a strapparlo dalla terra.

Tira e tira, finalmente ci riuscì, ma siccome tirava tanto forte cascò in terra col radicchio fra le mani.

Proprio mentre cascava sentì una voce che diceva: “Ohimè!” e vide un rospo grosso, ma così grosso che le mise una gran paura.

“Non aver paura Maria” le disse il rospo: “raccattami, portami a casa, e se mi terrai bene, farò la tua fortuna.”

Maria non ce la faceva a pigliarlo, e lui le disse: “Raccattami aiutandoti con il tuo grembiule e mettimi nel paniere, poi comprimi col radicchio e và a casa. Quando incontrerai la tua compagna non devi dirle nulla.”

Allora Maria lo coprì col grembiule e lo mise nel paniere, rabbrividendo dal ribrezzo e poi lo coprì con quel gran radicchio che riempiva tutto il paniere, anche perché sotto c’era quel rospaccione.

Quando incontrò Lisa vide che era tutta stizzita perché lei aveva trovato solo due o tre cesti di radicchio e con sgarbo le disse: “O dove tu l’hai trovato tutto questo radicchio?”

“Là nel bosco” rispose Maria, e le due ragazze fecero la via del ritorno senza dire una parola, perché Lisa era tutta immusonita.

Il babbo di Maria era accanto al focolare ma non c’era nemmeno uno steccolino di legna, e allora Maria gli disse: “Babbo, ora vo a pigliare un po’ di legna per accendere il foco.”

“O se un ce n’è nemmeno uno steccolo?”

“Vedrete babbo, abbiate fiducia” gli rispose Maria, e corse fuori.

Appena fu sortita, mise il suo Ohimè in una bella cassetta, gli diede da mangiare e poi salì in soffitta per cercare qualche legnetto da portare al suo babbo.

Come rimase quando vide che la soffitta era piena di legna e  di ceppi ben accatastati e di fascine legate per benino!

Ne prese una bella bracciata e la portò al suo babbo perché si potesse riscaldare.

Lui le disse: “O dove tu l’hai presa questa legna?”

“Ve l’ho preparata io, babbino. Perché non volevo vederti così infreddolito.”

Il babbo seppe solo fare: “Oh!” perché non capiva come avesse fatto.

Ma ora torniamo a quando Maria aveva messo Ohimè nella cassetta, per sapere che lui le aveva detto: “Sta’ attenta Maria, non ti scordar mai di me, perché se mi dimentichi ti capiteranno delle disgrazie.”

Il giorno dopo venne un gran temporale, con acqua, fulmini e tempesta che pareva la fine del mondo.

Il babbo di Maria era vicino al fuoco al calduccio, quando d’un tratto sentì bussare alla porta.

“Chi è?” Era un bel giovane tutto mezzo, col fucile a tracolla.

“Sono il figlio del re,” gli disse, “ero a caccia a quando mi ha sorpreso il temporale: potreste usarmi la cortesia di ospitarmi fino a che non sia passata questa burrasca?”

“Oh, ma s’accomodi maestà, e ci compatisca, questa è una casa di povera gente… si metta a sedere qui accanto al fuoco, così si asciuga un po’, non vede come è tutto molle?”

Dopo poco il principe disse: “Vivete solo in questa casa?”

“No, ho una figliola.”

“E dov’è?”

“Mah! Sarà su per le scale… Maria! O Maria! scendi, che ci fai su in soffitta?”

Allora Maria si chinò sulla cassetta d’Ohimè, e lui gli diede una raspatina al viso e sul capo e le disse: “Scendi tranquilla, vai giù ora.”

Allora Maria rispose: “Babbino, son qui che mi pettino.”

Si deve sapere che per salire in soffitta c’era una scala di legno a pioli di quelle che adoperano i contadini, e arrivava fino al piano di sopra.

Il figlio del re a quel punto si avvicinò alla scala e guardò in su, e cosa vide?

La Maria era in cima alla scala, con i piedi poggiati su un candido telo di lino, si pettinava con un pettine d’oro e aveva i capelli biondi come l’oro, lunghissimi, tanto che le coprivano tutto il corpo.

E mentre si pettinava cadevano dai suoi capelli mucchi di diamanti: “O che è quella la vostra figliola?” domandò il principe al babbo di Maria.

“Sì, perchè?”

“Ma quella è tanto bella che sembra una Madonna!”

Il vecchio si mise a ridere e gli disse: “Maestà, non mi sembran discorsi da fare questi!”

Il figlio del re era lì incantato a guardare in cima la figlia disse: “Ditemi signor contadino, che mi fareste sposare la vostra figliola?”

“Ma che gli pare, maestà, sarà mai possibile che lei prenda una ragazza povera come lei?”

“Di questo voi non dovete preoccuparvi, a me piace e a me mi torna bene di sposarla”

E dai e dai e picchia e mena, al vecchio gli toccò promettere la figliola al principe.

Dopo otto giorni, il principe aveva preparato tutto quello che ci voleva per la cerimonia, e in quel mentre Ohimè aveva preparato un corredo così bello e grande che nessuno si ricordava di averne mai visto uno come quello.

Si può immaginare la rabbia della Lisa, ma stava attenta a non farla trasparire perché voleva essere presente allo sposalizio, e di fatti fu invitata.

Il giorno del matrimonio Ohimè diede una raspatina sul viso di Maria e la fece diventare bella come il sole.

La sua amica, ma sarebbe meglio che si dicesse la sua nemica, non sapeva come fare a non scoppiare dalla rabbia, e stava zitta zitta.

Partirono da casa con due carrozze, in quella davanti c’era il principe con i suoi parenti, nell’altra Maria con un meraviglioso vestito di seta e d’oro, tutta coperta di veli, accompagnata da Lisa e dalla mamma della Lisa.

A un certo punto Lisa disse che si sentiva tanto male e che aveva bisogno di scendere un pochino dalla carrozza, così fecero fermare la carrozza e scesero tutte e tre avviandosi per un viottolino di campagna.

La carrozza andava avanti piano piano, e quando si furono un po’ allontanate Lisa e la sua mamma spogliarono la povera Maria, la legarono a un albero e Lisa si mise i vestiti da sposa e si coprì con i veli.

Poi la sua mamma richiamò la carrozza che si era fermata poco lontano e quando il cocchiere domandò: “O dov’è quella ragazza che si sentiva male?” gli rispose: “E’ tornata a casa a piedi perché non si sentiva tanto bene. Potete andare avanti.”

E il cocchiere riprese la strada, mentre la povera Maria legata all’albero piangeva come una fontana, e piangendo diceva: “Ohimè!”

La povera ragazza mentre era tanto felice si era dimenticata d’Ohimè. “Ohimè! Ohimè! Ohimè!” chiamava, e a un certo punto sentì che gli diceva: “Eccomi!” e saltando vicino a lei fece: “Ti avevo detto di non dimenticarti di me”

Oh, Ohimè mio, perdonami, per pietà, ero così felice che non pensavo più a te. Liberami, te ne prego, scioglimi.”

E lui le disse: “Io ti posso anche sciogliere, ma te mi devi promettere che non mi scorderai mai più, solo così tornerò a portarti fortuna.”

Maria promise e Ohimè la slegò, poi le fece indossare una veste da contadina e le regalò un bell’orto.

“Ora cura quest’orto” le disse “e se lo coltivi per bene ti darà tutti i frutti che non si trovano in questa stagione. Li coglierai e li andrai a vendere sotto le finestre del palazzo reale.”

Maria ringraziò Ohimè e gli promise che non l’avrebbe mai più dimenticato.

E così la slegò, le fece un vestito da contadina e le regalò un bell’orto: “Tu devi coltivare quest’orto, che ti darà tutti i frutti che non ci sono in questa stagione. Poi li andrai a vendere tutti i giorni sotto le finestre del palazzo del re.”

Lei lo ringraziò, promettendo di non dimenticarsi mai più di lui.

Mentre Maria cominciava a coltivare il suo orto, a palazzo era venuta l’ora di andare a letto, e quando la sposa si levò il velo nella camera c’era poca luce, però il principe pensò che gli sembrava che fosse parecchio imbruttita.

In ogni modo spense i lumi e si mise a dormire, ma la mattina dopo, alla luce del giorno, la vide proprio bene, e anche se non se la sentì di dirglielo, gli parve parecchio brutta, e così il principe era proprio malcontento del suo matrimonio.

Passarono due o tre giorni e Maria riempì un bel paniere pieno della frutta più fresca e succosa che si possa immaginare, chiamò il suo Ohimè, l’abbracciò e andò sotto il palazzo reale.

Ohimè le aveva detto che la regina era golosa e che avrebbe voluto comprare la sua frutta.

E così, quando fu sotto le finestre e cominciò a gridare: “Pesche, fragole, uva regina, chi ne vuole?” la regina sentì e mandò i servi a vedere se era proprio vero e a comprare quelle squisitezze.

La stessa storia si ripeté per altre due mattine, finché la regina disse che voleva conoscere questa ortolana, e i servitori fecero salire Maria, che aveva il viso tutto trasformato, in modo che nessuno potesse riconoscerla.

Quando fu nelle stanze reali c’era anche il principe, che la invitò a desinare con sé, perché voleva onorarla per la bellezza della sua frutta.

Lei gli rispose: “Maestà, vi ringrazio e accetto il gentile invito.”

Appena fu tornata a casa chiamò il suo Ohimè e gli raccontò tutto.

Lui le disse: “Vai pure, Maria. e quando serviranno l’arrosto, lascia cadere una delle tue forcine, ma bada che nessuno la raccolga: chinati lesta sotto la tavola e là mi troverai”.

Lei fece come gli diceva il suo rospo e andò a palazzo reale, la fecero sedere proprio di fronte al principe che aveva al suo fianco la regina, ma guardava sempre lei, forse perché nonostante il travestimento ravvisava in lei qualcosa della sua Maria.

Quando portarono l’arrosto Maria fece cadere una forcina, e i servitori e i signori che erano a tavola si precipitarono a raccoglierla, ma lei fu più svelta e si chinò sotto la tavola.

Ohimè era là sotto, le diede una raspatina nel viso e nelle vesti, e quando tornò a sedere era bella come una Madonna e vestita come il giorno dello sposalizio.

Il principe balzò in piedi e si mise a gridare: “Eccola! Ecco la mia Maria; e tu, brutta scorfana, devi sparire!”

La gente rimase a bocca aperta, e il principe fece legare Lisa e la sua mamma e le condannò al rogo.

Poi sposò la sua Maria e potete immaginare com’era felice.

Dopo un anno le nacque un bel bambino e tutto il palazzo scoppiava dalla gioia.

Una notte, quando il bambino aveva compiuto i tre mesi, Maria si svegliò con un tuffo al cuore: il bambino rantolava.

Subito accese uno zolfanello e vide che nella culla c’era un gran serpente che aveva circondato il collo del suo bambino.

Disperata cominciò a urlare e a chiamare aiuto, e intanto diceva: “Oh! Ohimè mio!”

E il suo Ohimè l’aveva dimenticato nella gioia di avere quel bambino.

Ohimè le apparve all’improvviso e le disse: “Ho voluto mettere alla prova la tua fedeltà! Non devi scordarti mai di chi ti fa del bene; io sono vecchio oramai, tanto vecchio che non ne posso più: tu ormai non hai più bisogno di me: mi sono trasformato in serpente e per farti paura mi sono messo al collo del tuo bambino. Ma ora morirò, e tu devi farmi cremare, poi raccoglierai le mie ceneri e le terrai di conto.”

Maria lo abbracciò piangendo, lo baciò, gli promise che avrebbe fatto quello che lui le aveva chiesto e lui allora morì.

Lo fece cremare e mise le sue ceneri in un’urna tutta tempestata di pietre preziose.

E da allora non si scordò mai del suo Ohimè e visse per sempre felice e contenta.

- Fiaberella
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