La maestra strega
C’era una volta,
una donna che faceva la maestra; alla sua scuola ci andavano tutte figlie di signori, e, tra l’altro, anche la figlia del re.
Tutti i giorni, quando suonavano l’Avemaria, questa maestra piantava in asso scuola e scolare e se ne andava via.
Per un bel pezzo le cose andarono così, ma poi le scolare incominciarono a mormorare: «Ma dove se ne andrà la nostra maestra? Bisognerebbe seguirla, uno di questi giorni, per vedere dove diamine va ficcarsi.»
E infatti, un giorno si misero d’accordo: fecero la conta per stabilire a chi toccasse andarle dietro; e la sorte toccò proprio alla figlia del re.
E così, quando la maestra uscì, la fanciulla le andò dietro.
La maestra cammina, cammina… quand’ebbe camminato per un bel po’, si fermò davanti alla porta di un palazzo e poi vi entrò; intanto, la figlia del re stava per entrarci anche lei, ma la maestra si voltò, e, vedendola, le disse: «Che tu non possa mai raccontare a nessuno quello che hai visto.»
Si trasformò in un gatto e via, s’infilò su per le scale di quel palazzo.
La figlia del re rimase ad aspettarla per un bel po’, ma poi, non vedendola tornare, leva le tende e se ne riva a scuola.
Quando le compagne la videro, cominciarono a domandarle se aveva scoperto dove andava la maestra, ma lei non poté dire altro che: «L’ho vista entrare in un palazzo; l’ho vista entrare in un palazzo.»
Quando le lezioni stavano per finire, eccoti di ritorno la maestra, la quale si sedette al suo posto come al solito e la cosa finì così.
Quando i servitori vennero a riprendere la figlia del re, la maestra la chiamò e le disse: «Vieni qua, figliola, che ti voglio dare un bacio.»
Ma intanto che la baciava, disse: «Stanotte vengo e t’ammazzo tua mamma.»
La poveretta tornò a casa, ma potete ben immaginare com’era addolorata, e come piangeva!
Avrebbe voluto riferire alla madre tutto quello che le aveva sussurrato quella boia, ma quando l’abbracciava per dirglielo, non riusciva a parlare e scoppiava a piangere.
Quella notte se ne andarono tutti a dormire, e, com’è, come non è, al mattino dopo la regina la trovarono nel letto strangolata.
Figuratevi i pianti dei figli e i pettegolezzi che si diffusero in tutto il paese!
E il re, poi, poveraccio, non poteva darsi pace, ma per niente proprio.
Quando venne l’ora di andare a scuola, i servitori accompagnarono la figlia del re e raccomandarono alla maestra che per carità di starle vicina e di volerle tanto bene perché, poveretta, la notte scorsa le era morta la madre; e la maestra rispose: «Ma sicuro che le voglio bene! Perché non dovrei? È vero, cocca mia? Vero che ti voglio tanto bene?»
E la poverina fu costretta a dire di sì, che era vero.
Prima di terminare le lezioni, alla solita ora, la maestra prese e se ne andò; quando vennero i servitori a riprendere la figlia del re, lei, prima di farla uscire, la richiamò indietro e le disse: «Vieni, cuore mio, che ti voglio dare un bacio.»
Lei s’avvicinò, e quella boia, mentre la baciava, le disse all’orecchio: «Stanotte vengo a strozzare tuo padre mentre dorme.»
Figuratevi quella poveretta, come tornò a casa disperata!
Voleva parlare, voleva confessare al padre tutto quello che gli stava per succedere, ma, come l’altra volta, non riuscì a dir niente.
La notte, poi, mentre suo padre dormiva, fu strozzato da quella strega.
La mattina dopo, quando i servitori entrarono in camera, figuratevi come ci rimasero nel vedere quello spettacolo!
Fu una disperazione generale, appena si seppe la notizia.
Tutti mormoravano: e chi la pensava in un modo, e chi in un altro.
Fatto sta, però, che nessuno poteva immaginare la vera causa.
Quando fu l’ora di andare a scuola, figuratevi la poverina come ci andò malvolentieri, e, pertanto, i servitori pregarono la maestra di stare vicino a quella povera orfanella, poiché la notte precedente qualcuno le aveva strozzato pure il padre.
La maestra assicurò: «Ma certo che le voglio bene! Vero, anima mia, che ti voglio tanto bene?»
E la poveretta a dir di sì.
Ma veniamo al dunque: la sera, alla solita ora, la maestra se ne andò via, e quando ritornò, prima che la fanciulla se ne andasse con i suoi servitori, quella le disse: «vieni qua, figlia mia, che ti voglio dare un bacio.»
E mentre la baciava, le sussurrò all’orecchio: «Stanotte vengo a darti fuoco alla reggia.»
La poveretta se ne tornò a casa, prese con sé tutti i preziosi più belli di sua madre, li mise insieme ai suoi, che consistevano in un pupazzetto d’oro e un coltello, fece un fagottino e se ne andò via dal palazzo, e siccome non riusciva a parlare, disse fra sé: “Speriamo che quei poveretti della servitù riescano a mettersi in salvo quando scoppierà l’incendio.”
E non sapendo dove andare a dormire, si fermò sui gradini di una chiesa.
Come da copione, quando scoccò la mezzanotte, il palazzo reale s’incendiò.
Ci fu un fuggi fuggi generale, e appena vide che si faceva giorno, la poveretta pensò: “Che ci faccio qua da sola, senza nessuno? È meglio che mi metta a camminare, e che vada in qualche altro posto a cercarmi un lavoro.”
E così fece: cammina, cammina, finalmente arrivò in un paese, e vide una bottega dove c’erano tante operaie; entrò, e chiese se poteva aiutarle a fare qualche cosa.
Quelle le risposero di sì, poiché dovevano preparare un abito al re da consegnare il giorno dopo.
Erano già diversi giorni che lavorava lì, quando una mattina si presentò nella bottega una donna con una scusa qualunque, la quale, quando vide la figlia del re, chiamò da parte la padrona e cominciò a raccontare tante cose terribili sul conto di quella poveretta, che la padrona finì per cacciarla subito via.
Ora, dovete sapere che mentre la figlia del re era stata impiegata in quella bottega, aveva avuto modo di terminare il ricamo in oro per l’abito del re, il quale, quando lo vide, disse: «Quant’è bello!»
E tanto gli piacque, che disse: «Se potessi conoscere la ragazza che me l’ha fatto, me la sposerei.»
Inutile dire che la boiaccia che l’aveva fatta cacciar via, altri non era che quella infame della maestra: pure la figlia del re, infatti, se n’era accorta.
Cacciata che fu, si rimise a vagare per il paese, fino a quando capitò in una strada dove c’era la bottega di una merlettaia; entrò, chiamò la padrona e si offrì come lavorante.
La padrona, siccome doveva terminare un certo merletto per l’abito del re, accettò di tenerla, e così, quella povera disgraziata, si mise di nuovo a lavorare.
Passati diversi giorni, rieccoti la maestra capitare pure lì in quella bottega, a dire alla padrona che se non voleva che le cose le andassero male, le conveniva mandare via subito quella boia di ragazza che aveva assunto, poiché era una ladra che aveva rubato persino certi gioielli a un certo re del suo paese, e che, proprio per questo, l’avevano cacciata via.
La padrona, nel sentirsi dire così, subito va dalla figlia del re, le fruga dentro al fagottino che si era portata dietro, e, nel vedere quella roba preziosa che aveva, la cacciò via in tutta fretta e sue piedi.
Quella poveretta, non sapendo dove sbattere la testa, prese e si andò a ficcare sui gradini della chiesa.
Arrivata che fu la notte, le guardie che andavano di ronda per il paese la trovarono e le domandarono cosa stesse facendo, ed ella dice: «Siccome non ho né casa, né tetto, mi sono rifugiata qui a passare la notte.»
Ma le guardie non vollero sentire ragioni, e senza fare tante chiacchiere, la condussero dritta dritta dal re, il quale, come la vide, se ne innamorò tanto che, detto e fatto, se la sposò.
Ed eccoti la moglie del re incinta del primo figlio.
Quando venne il giorno del parto, il re mandò a cercare la più brava levatrice che si trovasse nel paese; e infatti si presenta un giorno una donna che gli dice: «Maestà, se volete che assista vostra moglie, io sono la più in gamba di tutte le levatrici di tutti i vostri stati.»
E il re ne fu contento, e fu così che ‘sta levatrice andò ad assistere la partoriente; ma indovinate un po’ chi era?
Manco a dirlo!
Era quella boia della maestra.
Non vi dico che colpo fu per la regina ritrovarsela tra i piedi un’altra volta, ma siccome non poteva parlare, dovette mandar giù pure quest’altro boccone…
E accadde che la maestra, quando la regina ebbe partorito, le levò quel bel pezzo di pupo che aveva messo al mondo, e, al posto suo ci mise un cane; la creatura, poi, la diede a una villana, dandole a bere che era sua, e che gliela dava perché non aveva abbastanza latte.
Quando il re vide quel cane, figuratevi, ci rimase di stucco!
Lì per lì gli vennero certe paturnie…ma poi disse: «Mia moglie, poveretta, non ha colpa.»
E la prima volta andò così.
Poi, la regina rimase incinta per la seconda volta, e quando fu il momento di partorire, ecco ripresentarsi la maestra a domandare al re se gradiva che assistesse di nuovo la regina; e il re fu contento.
E quella boia fece né più né meno lo stesso della volta precedente: diede la creatura alla solita villana, e al re riferì che la moglie aveva partorito un gatto.
Il re, quando lo seppe, s’inquietò e si arrabbiò così tanto, che non vi dico; e se non ci fosse stato qualcuno a fermarlo, per la moglie, poveretta, sarebbe finita male.
«Adesso basta» disse, «che non si ripeta mai più, perché altrimenti la faccio rinchiudere in una torre, da dove non vedrà mai più la luce del sole.»
La regina, intanto, vedeva tutto, sapeva tutto, ma non poteva parlare: figuratevi le pene che pativa!
Ma tagliamo corto: alla fine, la regina restò incinta per la terza volta; il re, tutto contento, disse: «Finalmente avrò l’erede della corona!»
E quando venne la maestra per fare da levatrice, il re la pregò assai di badare alla moglie fino al giorno del parto, raccomandandosi di trattarla con tutti i possibili riguardi.
Sì, come no!
Quella strega della maestra aveva già pensato a tutto, tanto è vero che quando la regina partorì, aveva già pronto uno scimmiotto da ficcarle nel letto, e così fece.
E così, il re, che s’aspettava tutt’altro, non vi dico!
Quando seppe che la moglie aveva messo al mondo uno scimmiotto, gli saltò la mosca al naso, e andò su tutte le furie; a momenti strozzava il servitore che era andato a fargli l’ambasciata.
Ma veniamo al dunque: senza perdere altro tempo, chiamò le guardie e ordinò di rinchiudere la moglie in seduta stante nella torre, dove avrebbe dovuto vivere in isolamento per tutta la vita.
La poveretta, difatti, fu presa e schiaffata in una torre tanto cupa da sembrare una grotta.
Vi lascio immaginare i pianti e le maledizioni che mandava a quella stregaccia della maestra che, non contenta di averle già strozzato padre e madre, di averle incendiato la reggia, e di averle fatto perdere il lavoro due volte, era riuscita persino a farla imprigionare dal marito.
E si lamentava, e si lagnava così tanto, da fare pena persino ai sassi.
Il carceriere che la custodiva, ogni tanto avvicinava l’orecchio al buco della serratura, e la sentiva parlare come se stesse conversando con qualcuno, e tra sé si diceva: “Ma chi diavolo ci sarà? Con chi diavolo parlerà? Non sarà che ci sia qualcuno che riesca ad entrare nella sua stanza?”
Ma andiamo avanti: siccome la regina non la finiva più di parlare tutto il santo giorno, il carceriere, finalmente, si decise ad informare il re; e lui, sospettando che sua moglie facesse entrare qualcuno, salì un giorno alla torre, e dallo spioncino della serratura si mise ad ascoltare tutto quello che diceva.
E così, la sentì raccontare, non si sa a chi, tutte le sue disgrazie, a cominciare da quando era piccola e andava a scuola, fino a quel giorno in cui era andata dietro alla maestra; e continuò rievocando tutte le porcherie che quella le aveva combinato: il padre strozzato, la madre pure, la reggia bruciata, e via discorrendo.
Infine, la sentì che diceva: «E ora, giacché son tanto disgraziata, con ‘sto coltello che ho in mano mi trafiggo il cuore.»
E il re, non potendosi più trattenere, fece irruzione nella stanza della moglie, e vide che tutti quei discorsi che aveva udito erano rivolti a quel pupazzetto d’oro che s’era portata via dal suo palazzo, la sera prima dell’incendio.
Il re, pentito di cuore di averla strapazzata in quel modo, l’abbracciò, le disse di aver capito tutto, e le chiese perdono.
Comandò di arrestare immediatamente la strega, e che fosse obbligata con ogni mezzo a rivelare dove teneva nascosti i suoi tre bambini.
La strega confessò tutto quanto, e morì bruciata nella pubblica piazza per ordine del re.
Il re si riprese i suoi figli e li mostrò a tutto il popolo; diede pranzi, feste, giochi, luminarie, e da quel giorno lui e la regina vissero felici e contenti.
- Fiaberella