La Monaca
C’era una volta,
un Principe vedovo; non aveva moglie, perché era morta, ma aveva una figlia, e perciò, in casa sua, la sera, si faceva sempre conversazione.
Tra coloro che frequentavano la casa, c’era un conte, il quale, faceva la corte alla figlia di questo Principe; quando il padre venne a saperlo, le proibì di parlargli, ma lei, di nascosto, continuò a incontrarlo.
Poi un giorno, questo conte, disse: “Vado a parlare con suo padre.”
E quegli gli disse che non voleva farla sposare perché era troppo giovane, e gli disse di lasciarla stare.
Ma i due si volevano così tanto bene, che a un certo punto combinarono di sposarsi in segreto: cercano prete e testimoni, e una sera, di nascosto dal padre, andarono a sposarsi.
Venne poi il momento per la ragazza di raccontare tutto al padre, che egli sapesse che si era sposata; quando il padre lo seppe, andò su tutte le furie, e disse che non poteva essere vero, che non ci credeva.
Lei gli spiegò del prete e dei testimoni, e lui, la sera, fece la valigia alla figlia, fece attaccare i cavalli, la fece montare in carrozza e la portò lontano, in un posto che lei non riconobbe.
Fatto sta, che era notte: il padre, entrò in un convento, e le disse: “Ecco, d’ora in poi resterai qui.”
Parlò con la madre badessa, spiegandole la situazione, e come dovevano comportarsi; poi se ne andò, lasciando lì sua figlia.
Quella, si ritrovò in un monastero, e le monache le dissero che doveva fare l’anno di noviziato per diventare monaca.
Lei rispose che non poteva mica.
Difatti, di lì a tre mesi, mise al mondo una bambina, e le monache, tramite la moglie del giardiniere, subito la portarono via e l’affidarono a una balia.
Ma anche in seguito, esse volevano a tutti i costi che la donna prendesse i voti, ed ella rispondeva che non poteva, che avrebbe commesso un sacrilegio, perché era sposata.
Suo padre ogni tanto andava a vedere come si comportava la figlia, e le monache gli riferivano che la ragazza non voleva saperne di prendere i voti, e lui rispondeva che dovevano punirla severamente.
Allora, un giorno, esse la presero, e la portarono giù in cantina, e là non aveva niente, neanche un letto per dormire: doveva coricarsi per terra, sull’umido del pavimento: tutto questo per mettere alla prova la sua resistenza.
Ma ella resistette, e continuava a rispondere: “Preferisco morire, che commettere un sacrilegio.”
Tra le monache, ve n’era una che scendeva sempre per portarle da mangiare: era una monachella, che era entrata in convento contro la sua volontà.
E quando scendeva da lei, la confortava, raccomandandole sempre di sperare in Dio, il quale l’avrebbe aiutata.
Passò del tempo, e la bambina della prigioniera aveva già sei o sette anni; fecero entrare in convento pure lei, e fu affidata alle cure delle monache, le quali l’educavano con l’obiettivo di farne una suora.
Ma questa bambina non aveva la vocazione, e, passato altro tempo, arrivò ai quindici anni.
Tutte le sere, nel recarsi al vespro con le monache, passava davanti a un corridoio, e alle volte le capitava di sentire dei lamenti che avrebbero fatto pena anche ai sassi, e così, sapendo della monachella che aveva le chiavi dei sotterranei, un giorno le chiese chi fosse a lamentarsi tanto.
Quella le rispose che si trattava di una poverina infelice, tenuta in castigo.
La ragazzina disse allora che desiderava vederla, per poterla confortare, e la monaca rispose: “Va bene, senti: domani sera, quando tutti dormiranno, ti porterò dabbasso; ma stai attenta a non fartelo scappare con nessuno, altrimenti, mi metterai nei guai.”
La fanciulla rispose: “No, no, sta’ tranquilla, che non lo dirò a nessuno.”
Così, la sera dopo, quando le suore furono a letto, e tutto era tranquillo, scesero di sotto e aprirono l’uscio dello stanzino; la ragazzina disse: “Oh, ma che aria umida esce da questa stanza! Povera donna, come deve aver sofferto!”
Si avvicinarono, e la donna disse: “Chi è che viene a trovare a quest’ora una povera infelice?”
E la monaca rispose: “Sono io. Ti ho portato una novizia che desidera vederti.”
Ed ella le disse: “Oh brava, hai fatto bene a farla venire, la vedrò volentieri.”
Domandò alla giovane se davvero desiderasse farsi monaca, e lei rispose che, se anche avesse accettato, l’avrebbe fatto per forza, perché di vocazione non ne aveva per niente.
E la poveretta prigioniera le domandò da quanto tempo si trovava in convento, ed ella rispose che ci era cresciuta, che, da quanto ricordava, era sempre stata lì.
La donna le domandò quanti anni aveva, e la ragazza le rispose che ne aveva quindici; allora lei, le disse: “Ma allora sei nata qui dentro!”
Poi, volgendosi verso la monachella, le disse: “Dimmi la verità, questa è mia figlia?”
E la monaca rispose: “Sì, non ho mai voluto dirti niente per non farti agitare, ma è vero, è proprio tua figlia.”
A queste parole, la figlia abbracciò la sua mamma e le disse: “Visto che sono tua figlia, sarò io a portarti via di qui.” Poi la salutarono e se andarono.
Poi la monachella raccomandò alla ragazza: “Per carità, non dir niente alla badessa, cerca di non mettermi nei guai.”
E lei, rispose: “No, stai tranquilla. Stasera è troppo tardi, ma domani, quando saranno tutti a dormire, io e te usciremo dal convento, e tu, che sei pratica della città, mi accompagnerai dall’arcivescovo, e, quando saremo là, lascerai fare a me.”
Ma adesso, torniamo un momento al marito, il quale, non aveva più saputo nulla della moglie, e ignorava che suo padre l’aveva rinchiusa in un convento.
Per combinazione, spesso si recava dall’arcivescovo a chiacchierare, e a lui raccontò tutti i suoi dispiaceri, e l’arcivescovo gli diceva di sperare, che, chissà che un giorno o l’altro sua moglie sarebbe riapparsa.
E accadde che una sera, mentre si trovava lì, entrò un servitore, che disse: “Sua Eminenza, ci sono due monache che chiedono di parare con Lei.”
L’arcivescovo andò a riceverle e disse: “Come mai due monache si trovano fuori del monastero a quest’ora?”
E la giovane, la figlia della prigioniera, disse: “Sì, Eminenza, è l’urgenza della situazione, che ci ha fatte venire qui a quest’ora.”
Così dicendo, raccontò all’arcivescovo di sua madre, e di tutti i maltrattamenti subiti dalla poverina, spiegandogli che le monache non avevano mai voluto crederle, quando per anni andò dichiarando che era sposata. “Così, sono venuta per caso a sapere di essere sua figlia; e ora sono qui per chiederle di intercedere a suo favore.”
Allora, l’arcivescovo disse: “Bene, domani verrò subito al convento; farò finta di voler vedere tutti i locali.”
Poi disse all’altra monaca: “Tu, che hai tutte le chiavi, quando saremo vicini alla scalinata, fammi un cenno, così io chiederò di visionare il piano inferiore.”
Detto questo, si congedarono, e l’arcivescovo le fece accompagnare a casa dal suo servitore, ed esse si ritirarono a dormire.
Il giorno seguente, ecco arrivare l’arcivescovo.
La madre badessa gli corse incontro, gli fece la cera per benino e gli disse: “Come mai siete venuto senza avvisare, Sua Eminenza? Non vi aspettavamo.”
Ed egli rispose che era venuto in visita.
La madre badessa lo scortò per il monastero, e quando furono arrivati sul portico, ecco che la giovane monaca gli fece il cenno, e lui disse: “Ma questa porticina, dove porta?”
E la badessa rispose: “Oh, è l’uscio di una cantina.. in realtà non ci va mai nessuno..”
E lui: “Bhè, visto che ormai sono stato dappertutto, voglio vedere anche la cantina.”
La badessa ci rimase di sasso, ma all’arcivescovo non poteva dire di no: cercò di svicolare, ma alla fine dovette cedere; scesero di sotto, aprì la porta, e l’arcivescovo vide quella povera infelice sdraiata su un lettino di paglia, e domandò: “Che delitto avrà mai commesso ‘sta povera donna per meritare d’essere maltratta in questa maniera?”
E la poveretta rispose che le monache la trattavano così perché volevano obbligarla a prendere i voti nonostante fosse già sposata.
Allora, l’arcivescovo, diede ordine di rilasciarla immediatamente, di portarla via di lì e di accompagnarla in una camera dove potesse ricevere cure adeguate, di nutrirla come si deve, poiché era molto deperita.
Così fecero, e sia la sua bambina che l’amica monaca ebbero il permesso di starle accanto.
Stette lì per qualche giorno, finché l’arcivescovo mandò i suoi servitori a prendere lei, sua figlia, e l’amica, e, tutte e tre insieme, andarono ad abitare in una bella casa signorile, dove la povera malata poté recuperare presto un pò di salute.
Un giorno, il conte andò a trovare l’arcivescovo per sfogarsi di nuovo dei suoi dispiaceri; allora, l’arcivescovo, fece preparare la carrozza e gli disse: “Vieni con me, che voglio portarti a vedere un certo posto.”
Lo condusse alla residenza della moglie, e gli disse: “Ecco, la riconosci questa donna?”
E il conte: “Io, no.”
“Bhè, sappi che questa signora è tua moglie, e questa ragazza è tua figlia.” E il conte fu felice come una pasqua per aver ritrovato la sua famiglia.
L’arcivescovo, poi, riservò una grande punizione alla badessa, poi, convocò il padre della contessa e diede una gran strapazzata anche a lui, premiando, invece, la monachella, che ebbe il permesso di rimanesse a vivere con loro, essendo dispensata dall’abito, poiché anche lei faceva la monaca contro la sua volontà.
Così, rimasero tutti quanti insieme, e ciao.
Così è finita.
- Fiaberella