Pietro Pazzo
C’era una volta,
nell’isola di Capraia, posta nel mar ligure, un re di nome Luciano.
Nella stessa isola viveva anche una povera vedovella di nome Isotta.
Costei aveva un figlio pescatore, il quale purtroppo, non era molto giusto di testa, per cui tutti lo chiamavano Pietro Pazzo.
Costui andava a pescare tutti i giorni: ma era talmente sfortunato anche nella pesca, che non prendeva mai niente, ed ogni volta che ritornava a casa, che distava mezzo miglio dal mare, si metteva a gridare così forte, che lo sentivano tutti.
E gridando diceva:
“Madre, conche e secchi,
bocce, pentole e vasetti,
che Pietro torna pieno di pesci!”
La povera madre, credendo alle parole del figliuolo, apparecchiava la tavola, ma una volta arrivato a casa, quel matto di Pietro la scherniva e si beffava della mamma credulona, facendole pure la linguaccia.
Dovete ora sapere che questa povera donna abitava giusto di fronte al palazzo di re Luciano, il quale aveva una figlia di dieci anni, che era già molto bella e fisicamente attraente per la sua età; anche lei si chiamava Luciana come suo padre, per volere paterno.
La ragazzina, che sentiva Pietro Pazzo gridare sempre: ‘ Madre, conche e secchi, bocce, pentole e vasetti, che Pietro torna pieno di pesci! ‘ correva dunque alla finestra, e lo prendeva in giro, morendo dal ridere.
Il pazzo, vedendola sganasciarsi dalle risate, si sdegnava per questo e le rispondeva con parole molto poco lusinghiere; ma più il pazzo l’oltraggiava, tanto più ella se ne fregava.
La sfortuna di Pietro Pazzo continuò per diverso tempo, finché avvenne un giorno che il disgraziato prese un grande e grosso tonno.
Allora per la gran contentezza cominciò a saltellare e a gridare:
“Evviva! Evviva!
Ci aspetta una bella cenetta,
ci aspetta una bella cenetta!!”
Il tonno, vedendosi in trappola e sentendosi finito, disse a Pietro: “Prego, fratello mio, per cortesia, fammi la grazia di liberarmi e di lasciarmi vivere. Che vuoi tu far di me? Quando mi avrai mangiato, che beneficio ne avrai? Che ti resterà in mano? Ma se invece sarai generoso con me e mi lascerai libero, probabilmente presto o tardi ti tornerò utile.”
Ma il buon Pietro, che aveva più bisogno di mangiare che di parole, voleva porselo in spalla e portarselo a casa per goderselo allegramente con la madre, poiché entrambi ne avevano molto bisogno.
Il tonno continuava tuttavia a pregarlo, offrendogli di dargli tanto pesce in cambio, tanto quanto egli ne desiderava.
E in più gli promise che avrebbe accontentato qualunque suo desiderio.
Pietro, che per quanto fosse mezzo matto, non aveva il cuore di pietra, alla fine si mosse a pietà e lasciò il tonno libero, e tanto con i piedi, tanto con le braccia lo spinse, che lo rigettò in mare.
Allora il tonno, vedendosi graziato, non volendo dimostrarsi ingrato, disse a Pietro:
“Rimetti in acqua la tua barchetta,
rema forte da un lato all’altra,
e l’acqua lascia tu entrare.”
Pietro fece come disse il tonno, e la barca si riempì di pesci, e rischiò quasi di affondare, ma Pietro era coraggioso e fu assai contento: arrivato a riva, prese in spalla il carico e si avviò verso casa, e quando fu quasi arrivato, cominciò a gridare come al solito:
“Madre, conche e secchi,
bocce, pentole e vasetti,
che Pietro torna pieno di pesci!”
La madre, che pensava come prima esser di nuovo presa in giro, non voleva stavolta mettere un dito fuori di casa, ma il pazzo continuava a gridare più sguaiatamente di prima, allora, temendo una scenata, si decise ad apparecchiare la tavola.
Quando Pietro entrò in casa, ed ella vide con i suoi occhi che stavolta era veramente carico di pesci, lodò il Signore per la grazia ricevuta e fu anche lei molto contenta.
Nel frattempo, Luciana, la figlia del re, avendo udito Pietro gridare, era corsa alla finestra; e come le altre volte aveva preso a schernirlo e a deriderlo.
Il poverello, non sapendo che altro fare, fu preso da astio e collera, e perciò corse alla spiaggia e lì prese a chiamare il tonno a gran voce.
Il tonno lo riconobbe e venne a riva, e messo il capo fuori dall’acqua, gli chiese cosa volesse, alché il pazzo rispose: “Tonno, voglio che la principessa Luciana resti incinta di me.”
Il desiderio fu esaudito in men che non si dica, e infatti, di lì a pochi mesi, alla principessa non ancora dodicenne cominciò a crescere vistosamente la pancia: e vedendosi i segni del misfatto, la madre ne restò addolorata e confusa, non riuscendo a concepire che la sua figliola, che era poco più che una bimba, fosse stata con un uomo.
Preferì nel suo cuore pensare che fossero i segni di qualche brutto male, la fece visitare da alcune donne, le quali dissero che non vi era dubbio che la ragazzina fosse proprio incinta.
La regina allora dovette andare a raccontare tutto al marito, con grande vergogna, e il re, quando seppe che la sua figliola era incinta, si sentì morire dal dispiacere.
Allora pensò che non avrebbe avuto pace finché non avesse scoperto chi mai avesse osato violare la virtù della figlia, e decise perciò con ogni mezzo possibile di indagare, ma non si trovò mai la soluzione al rebus, e perciò, per non restare con la macchia del disonore addosso, decise di fare uccidere la principessa.
Ma la madre, che amava teneramente la sua figliola, pregò il re di lasciarla in vita fino al momento del parto.
Il re, che in fondo era suo padre, mosso a compassione della sua unica figlia, acconsentì alla richiesta della moglie.
Vennero i giorni del parto, e la fanciulla mise al mondo un bellissimo bambino; vedendo un nipotino tanto grazioso e bello, il re non se la sentì di mandare la creatura a morte, ma comandò alla regina di farlo accudire e allattare da una balia per tutto il primo anno d’età del bambino; quando l’anno fu finito, vedendo che il bimbo cresceva sano di una rarissima bellezza, il re pensò che questa potesse essere una traccia da seguire per arrivare a scoprire chi fosse il padre.
Fece così pubblicare un bando per tutta la città, che chiunque avesse compiuto i quattordici anni dovesse presentarsi a sua Maestà, pena la morte, portando nelle mani un frutto o un fiore o qualsiasi altra cosa che potesse piacere alla creatura.
Secondo il comandamento del re tutti vennero al palazzo portando chi un frutto chi un fiore e chi l’una e chi l’altra cosa in mano: e passavano dinanzi al re, ubbidendo solennemente agli ordini.
Avvenne che un giorno andò a palazzo anche un ragazzo, e durante il cammino s’imbatté in Pietro Pazzo, e gli disse: “Dove vai, Pietro? Perché non vai al palazzo come gli altri, a ubbidire agli ordini del re?”
E Pietro rispose: “E cosa vuoi che ci faccia io in mezzo a tanta gente ammodo? Non vedi che io sono povero, nudo e non ho neanche un vestito per coprirmi? Vuoi forse che mi metta in ridicolo andando tra signori e cortigiani? No, mi dispiace, ma non ne ho nessuna intenzione.”
Disse allora il giovane burlando: “Vieni con me, te lo darò io un vestito adatto. Chi lo sa che il bambino non sia tuo?”
Allora Pietro seguì il ragazzo a casa sua, dove fu vestito, e insieme si recarono al palazzo, e quando salì le scale, si mise in un cantuccio dove non poteva essere visto da nessuno.
Essendosi dunque presentatisi tutti al re, e dopo essersi messi a sedere, il re comandò portassero il bimbo nella sala pensando che vedendolo, il padre segreto si commuovesse e si rivelasse.
La balia prese dunque il fanciullo in braccia e lo portò in sala: tutti lo accarezzarono, dandogli chi un frutto chi un fiore e chi l’una e chi l’altra cosa; ma il bambino li rifiutava tutti.
Alla fine la balia si diresse verso l’uscita della sala, e subito il bambino cominciò a ridere e a dimenarsi con tutta la persona, che quasi rischiò di scappare via dalle braccia della balia, ma ella non essendosi accorata di nulla, scorreva per di qua e per di là.
Poi si diresse di nuovo verso l’uscio e il bambino ricominciò a scalpitare ancora più vivacemente di prima, allungando il ditino verso la porta.
Il re, che aveva visto tutto, chiese chi ci fosse dietro l’uscio.
La balia rispose che c’era un mendicante; il re lo fece avvicinare e riconobbe che era Pietro Pazzo.
Il bimbo, che gli era vicino, aprì le braccia e gli si avventò al collo e lo abbracciò.
Vedendo ciò il re mandò via tutti gli altri, perché fu chiaro che Pietro era il padre, e condannò tutti e tre a morte in seduta stante.
Ma la regina, molto astutamente, fece notare al re che se avesse eseguito una così terribile sentenza, questa gli avrebbe certamente procurato terribile sdegno e disonore ancora maggiore, perciò persuase il re di far rinchiudere la figlia, il bambino e il padre dentro a una botte, e di farli buttare a mare, e di lasciarli al loro destino.
La quale idea piacque molto al re re, che mandò a chiamare una botte, dove fece mettere dentro una cesta di pane ed un fiasco di buon vino e un barile di fichi per lo fanciullo, e fece gettare la botte in alto mare, pensando che alla fine sarebbero presto annegati o sbattuti in qualche scoglio.
E invece le cose non andarono esattamente come il re e la regina avevano ipotizzato.
La vecchiarella madre di Pietro, quando fu messa al corrente del disgraziato caso capitato a suo figlio, morì in pochi giorni dal dolore.
Nel frattempo, la misera Luciana nella botte, sentendosi sbattuta dalle onde, senza vedere né sole né luna, piangeva a dirotto per la sua sventura: e non avendo latte con cui alimentare il suo bambino che piangeva spesso, gli dava i fichi, che erano l’unico cibo che avevano, e in questo modo lo faceva dormire.
Ma Pietro, non curandosi di nulla, si preoccupava solo di avere il pane e il vino, e vedendo che così andavano avanti da alcuni giorni, Luciana disse: “Pietro, ohimè! Guarda cosa sto passando a causa tua, e tu, insensato, che fai? Per tutta risposta ridi, mangi e bevi, senza preoccuparti nemmeno del pericolo che stiamo correndo tutti e tre.”
E Pietro rispose: “Guarda che tutto questo ci è successo solo per colpa tua, che ti burlavi di me e mi sbeffeggiavi sempre. Ma stai su con il morale, vedrai che in qualche modo ce la caveremo.”
Rispose Luciana, “Speriamo! Però è molto probabile che la botte sbatta contro qualche roccia, e allora vedrai come annegheremo!”
Allora Pietro disse: “Taci, che io ho un segreto, che se tu sapessi, te ne meraviglieresti molto e saresti anche contenta.”
“E qual’è questo segreto?”
“Io conosco un pesce,” disse Pietro, “il quale fa tutto quello che io gli comando, e infatti è stato lui a farti restare incinta.”
“Se quel che dici è vero, è stata un’ottima cosa. Ma come si chiama questo pesce?”
Pietro: “Si chiama Tonno.”
“Ebbene, fai in modo che egli ubbidisca anche al mio volere.” disse Luciana.
“Sia fatto” disse Pietro.
E così dicendo chiamò il tonno, e gli impose di esaudire i desideri di Luciana, la quale, avuto il potere e la potestà sul pesce Tonno, subito gli comandò che egli facesse approdare la botte sopra uno dei più belli e sicuri scogli del regno del padre; dopo, che facesse in modo che Pietro, così sporco e pazzo, diventasse il più bello ed il più saggio uomo del mondo.
E non contenta, volle in più che sullo scoglio fosse costruito un ricchissimo palazzo con logge e con sale e con camere bellissime; e che di dietro coltivasse un giardino lieto e riguardevole, copioso di alberi che producessero gemme e pietre preziose, in mezzo al quale sorgesse una fontana di acqua freddissima ed una di preziosi vini.
Il che senza indugio fu largamente esaudito.
Il re e la regina, pensando dopo qualche tempo di esser stati così crudeli con la loro povera figlia e con il loro povero nipotino, convinti che i loro corpi fossero ormai stati divorati dai pesci, cominciarono a rammaricarsene molto, e non furono più felici.
Trovandosi ambedue in questo affanno e cordoglio, decisero di andarsene in viaggio a Gerusalemme e visitare la Terra santa; quando la nave fu pronta, salparono, navigando con venti favorevoli.
Avevano appena passate cento miglia dalla costa, che videro da lontano un ricco e superbo palazzo che sorgeva su un isolotto, e poiché non ne conoscevano l’esistenza fino ad allora, decisero di fare sosta per esaminarlo.
Non erano ancora giunti al palazzo, che Pietro Pazzo e Luciana li conobbero; e scesi giù delle scale, gli andarono incontro, li ricevettero con grandi onori.
Ma il re e la regina non li riconobbero.
Entrarono nel palazzo, e lo lodarono molto, poi scesero per una scaletta segreta, e andarono nel giardino, che piacque molto a tutti e due, giurando di non averne mai visto uno tanto bello in vita loro.
In mezzo al bel giardino c’era un albero che sopra a un ramo aveva tre mele d’oro; ed il guardiano, per espresso comandamento di Luciana, le custodiva gelosamente; ma, non so come, ad un tratto il più bello, senza che il re se ne accorgesse, gli fu messo in tasca.
E quando il re stava per andarsene, il guardiano disse: “Signora, uno dei tre pomi, il più bello, non si trova, e non so proprio chi l’abbia preso.”
Allora Luciana ordinò che la mela fosse cercata scrupolosamente, perché era molto importante.
Il guardiano, quando ebbe ben cercato e ricercato, tornò dalla principessa e disse che la mela non saltava fuori; allora Luciana finse di essere molto turbata e volgendosi al re, gli disse: “Sacra Maestà, mi perdonerete se cerchiamo anche da voi la mela che ci manca, che ha un valore enorme, ed è per me molto importante.”
Il re, che non sapeva nulla, pensando di essere in perfetta buona fede, si aprì il mantello e subito la mela cadde a terra.
Il re rimase di sasso per lo stupore, e non capiva come la mela potesse essere stata tra i suoi abiti.
Luciana, vedendo allora quel che era successo, disse: “Signor mio, noi vi abbiamo accolto con tutti gli onori, che giustamente meritate; e voi, ringraziandoci della buona ospitalità, a nostra insaputa violate il nostro giardino. Vedo bene con quanta ingratitudine fate ciò.”
Il re, innocente, non riusciva a credere di aver commesso la cattiva azione di cui si vedeva accusato; Luciana, vedendo che era il momento di rivelarsi, si voltò con gli occhi pieni di lacrime a suo padre e disse: “Signor mio, sappiate che io sono quella Luciana, la quale infelicemente avete messo al mondo, e che con Pietro Pazzo e il suo bimbo avete ingiustamente e crudelmente condannato a morte. Io sono quella Luciana, la vostra unica figlia, la quale senza senza colpa e senza aver mai frequentato un uomo, è rimasta incinta vergine. Questo è il fanciullo innocentissimo e senza peccato che ho concepito” disse mostrando loro il bambino, “e questo giovane davanti a voi altri non è che Pietro Pazzo il quale, per virtù di un pesce chiamato tonno, è diventato bello e intelligente, ed è padrone con me di questo superbo palazzo. Costui fu quello che, senza che voi ve n’accorgeste, vi mise la mela d’oro in tasca. Costui fu l’uomo che non ha mai osato toccarmi, ma che per mezzo di un pesce fatato mi mise incinta. E così come voi ora siete innocente della mela violata, allo stesso modo e altrettanto innocente ero io allora per la mia gravidanza.”
Allora tutti piansero di gioia e si abbracciarono, facendo grande festa.
E passati alcuni giorni, montarono in nave, e insieme tornarono all’isola di Capraia, con grande trionfo.
Ed il re fece sposare Pietro e Luciana; e in virtù di genero, con grande onore e privilegio visse.
E quando il re fu in punto di morte, lo indisse erede del suo regno.
- Fiaberella