Prezzemolina

C’era una volta,

marito e moglie, la cui finestra dava sull’orto delle fate.

Questa donna era incinta. Un bel giorno s’affacciò alla finestra, e vide un prato di prezzemolo, il più bello!

Attese di vedere andar via le fate, poi prese la scala di seta e si calò giù; si mise a mangiare il prezzemolo a tutto spiano.

Mangia, mangia, finché poi risalì la scala, chiuse la finestra e via! Ogni giorno faceva così.

Un giorno, le fate passeggiavano in giardino: “E dimmi” disse la più bella, “non ti pare che manchi del prezzemolo?”

Le altre risposero: “E ne manca anche tanto! Sai cosa faremo? Usciremo tutte fuori, e una di noi rimarrà nascosta; perché qui c’è qualcuno che viene a mangiare.”

Così, una delle fate rimase fuori a far la posta.

A un certo punto, la donna scese giù per mangiare, e mentre stette per ritornare in su, la fata le si parò davanti: “Oh briccona” disse, “ti ho scoperta, eh?”

“Abbiate pazienza”, dice questa donna, “io sono gravida; avevo questa voglia…”

“Ebbene” dice la fata, “ti perdono. Senti, se ti nascerà un bambino, dovrai chiamarlo Prezzemolino; se sarà una bambina, Prezzemolina; e, quando sarà grande, ce la prenderemo noi: è per noi, via, non è più tua.”

Figuratevi questa donna!

Proruppe in un pianto a dirotto, dicendo: “Malandrina la mia gola, mi è costata assai!”

Anche il marito non smetteva più di rimproverarla: «Golosaccia! Hai visto?”

Poi, partorì una bambina e la chiamarono Prezzemolina; e quando fu grandicella, la mandò a scuola.

E mentre passava, le fate, tutti i giorni le dicevano: “Bambina, dì alla mamma, che si ricordi di quella roba”

“Mamma” disse Prezzemolina, “hanno detto le fate di ricordarvi di quella cosa.”

Un giorno la donna era soprappensiero; la bambina tornò e le dice: “Vi dicono le fate di non scordarvi quella cosa.”

E la madre rispose: “Sì, dì loro che se la prendano”.

Il giorno seguente la bimba andò a scuola, e le fate di nuovo le chiesero: “Cosa ti disse la mamma ieri sera?”

“Mi disse che potete prendervela, quella roba.”

“Oh vieni, allora, sei tu quella roba che noi vogliamo.”

La bambina urlò a non finire, come potrete immaginare.

Ma lasciamo la bambina e torniamo alla madre; passarono le ore e non la vide tornare.

A un tratto, si ricordò d’aver detto alla bambina di riferire alle fate che potevano prendersi quella roba, ed esclamò: “Oh, mi son tradita! Oramai non si torna più indietro.”

Dunque queste fate dissero alla bambina: “Ecco, Prezzemolina, la vedi questa stanza nera nera?”  vi ci tenevano il carbone, la brace.

“Per quando saremo di ritorno, dovrà essere tutta bianca come il latte e dipinta con tutti gli uccelli dell’aria, altrimenti noi ti mangeremo.”

Come volete che facesse quella povera bambina?

Le fate se ne andarono, ed ella si mise a piangere, e, piangi tu che piango anch’io, cominciò a singhiozzare e a disperarsi, che non riusciva più a smettere.

D’un tratto, bussano alla porta: Prezzemolina andò a vedere, credendo che fossero le fate; aprì la porta e vide Memè, che era un cugino delle fate.

“Che hai, Prezzemolina, perché piangi?”

“Piangereste anche voi” disse; “Vedete questa stanza? Per quando le mamme torneranno, da così nera dovrà diventare tutta bianca e dipinta di tutti gli uccelli dell’aria, altrimenti loro mi mangeranno.”

“Se mi dai un bacio” disse Memè, “questa stanza te la sistemo io in due minuti.”

Ma Prezzemolina rispose: “Preferisco dalle fate esser mangiata,  che da un uomo esser baciata.”

Disse allora Memè: “Ma come lo hai detto bene! Voglio farti la grazia.”

E batté la bacchettina, e la stanza divenne tutta bianca, tutta uccelli, come avevano ordinato le mamme.

Poi Memè se ne andò e tornarono le fate, e chiesero a Prezzemolina: “Allora, hai provveduto?”

“Sissignora, vengano a vedere.”

Le fate si guardarono in faccia: “Eh, Prezzemolina, qui c’è stato Memè!”.

“No, Non conosco alcun Memè, né la mia bella mamma che mi fè.”

La mattina seguente, poi: “Come si fa?” dissero le fate, “così non ci riusciamo a papparcela.”

“Prezzemolina!”

“Cosa comandano?”

E allora le dissero: “Domani mattina devi andare dalla fata Morgana e devi dirle di darti la scatola del Bel-Giullare.”

“Sissignore” rispose.

E la mattina dopo si mise in viaggio.

Cammina, cammina, incontrò una donna, che le chiese: “Dove vai bella bambina?”

“Vado dalla fata Morgana a prendere la scatola del Bel-Giullare.”

“Ma lei ti mangerà, sai, poverina?”

“Meglio per me” disse, “così la faremo finita.”

“Tieni” disse la donna, “queste due pentole di lardo. Troverai due porte che si battono insieme. Ungile tutte, e vedrai che ti lasceranno passare.”

Ed ecco che la bambina giunse alle porte e le unse tutte da capo a piedi e loro la lasciarono passare.

Dopo che ebbe camminato per un bel pezzo, trovò un’altra donnina, e anche quella le domandò: “Dove vai, bambina?”

“Vado dalla fata Morgana per la scatola del Bel-Giullare.”

“Ma poverina, non lo sai che ti mangerà?”

“Meglio per me, così la faremo finita.”

“Tieni questi due pezzi di pane, troverai due cani che si mordono l’un con l’altro. Buttagliene uno per uno: così ti lasceranno passare.”

Ed ecco che Prezzemolina trovò questi due cani; lanciò i due pani ai cani, i quali la lasciarono passare.

Dopo aver fatto un altro pezzo di strada, trovò un’altra donnina.

Disse: “Dove vai?”

“Dalla fata Morgana per la scatola del Bel-Giullare.”

“Poverina, ti mangerà, lo sai?”

“Meglio per me, così sarà finita.”

“Ma no, ascolta: troverai un ciabattino che si strappa la barba per cucire e i capelli. Tieni, questo è spago per cucire, questa è lesina: tutto il necessario. Dagliene e lui ti lascerà passare.”

Ed ecco che la bambina trovò questo ciabattino; gli diede tutta quella roba, lui la ringraziò e la lasciò passare.

Fatto un altro pezzo di strada, trovò un’altra donnina ancora, che le chiese dove andava, e anch’ella rispose: “Bada, ti mangerà in un boccone.”

“Meglio per me, così sarà tutto finito.”

“Ma no, ma no. Troverai una fornaia che spazza il forno con le mani: capirai, si brucia tutta. Tieni: questi sono stracci, e queste sono sono spazzole; è tutto il necessario. Vedrai che ti lascerà passare. Dopo poco ti troverai in una piazza: vedrai un bel palazzo, ed è proprio la casa della fata Morgana. Tu picchia, aspetta che ti facciano entrare, e salì su al secondo piano: lì ci troverai la scatola del Bel-Giullare. Ad ogni modo, quando busserai, lei ti dirà: ‘ Aspetta bambina; aspetta un po’ ‘. Tu sali, prendi la scatola e vieni via.”

E Prezzemolina trovò la fornaia.

Le diede spazzole e stracci e quella la ringraziò e la lascia passare.

Toc, toc!

Bussò di nuovo, salì le scale, prese la scatola e scappò via.

La fata, che sentì l’uscio chiudersi, s’affacciò alla finestra e vide la bambina che scappava via.

“O fornaia, che spazzate il forno con le mani, trattenetela, trattenetela.”

Ma quella rispose: “Fossi matta! Dopo tanti anni che fatico, è stata l’unica a portarmi gli stracci e la spazzola! Passa, poverina, vai, vai!”

Allora la Fata Morgana gridò al ciabattino: “O ciabattino, che cucite con la barba e vi strappate i capelli, trattenetela, non fatela scappare!”

E il ciabattino: “Fossi matto! Dopo tanti anni, che fatico, mi ha portato tutto il necessario. Vai, vai, poverina.”

Allora la Morgana si rivolse ai cani: “O cani che vi mordete tanto, fermatela, fermatela!”

E quelli: “Ma vuoi scherzare? Ci ha dato un pezzo di pane per uno! Vai, vai, poverina!”

Disperata, alla Morgana non restava che sperare nelle porte: “O porte, porte che vi battete tanto, chiudetevi, chiudetevi!”

E le porte: “Ohibò, non siamo mica stupide! Dopo che ci ha unte da capo a piedi! Vai, vai poverina.”

E la fecero passare.

Quando fu libera, si chiese: “Che ci sarà mai in questa scatola?”

Arrivata ad una piazza, si mise a sedere e l’aprì: uscirono fuori tante persone, una marea di gente, che cantava e suonava.

Figuratevi la disperazione di questa bambina: avrebbe voluto rimettere tutto a posto, ma quando ne acchiappava uno, ne sgusciavan dieci.

Allora si mise a piangere, ed ecco improvvisamente comparirle davanti Memè.

“Briccona, hai visto cosa’hai fatto?” “Si, si, è vero, ma volevo solo dare un’occhiatina…”

“Eh,” disse Memè, “purtroppo è fatta e non c’è più rimedio. Ma se mi dai un bacio, sistemo tutto io.”

Ma Prezzemolina rispose: “Meglio dalle fate esser mangiata, che da un uomo esser baciata.”

“Davvero? Ma l’hai detto con tanta grazia, che ti aiuto lo stesso.”

Allora, batté la bacchettina e tutto tornò come prima. Prezzemolina tornò a casa e bussò alla porta delle fate.

“Oh Dio!” fecero quelle, “è tornata Prezzemolina. Come mai non l’ha mangiata, la fata Morgana?”

Prezzemolina entrò e disse: “Buon giorno. Ecco la scatola.”

Dissero le mamme: “Ma la fata Morgana, che ti ha detto?”

“Me l’ha data e m’ha detto: ‘ Salutami le fate. ‘ “

“Eh, abbiamo capito! Dovremo farla fuori noi. Stasera, quando verrà Memè, gli diremo di tenersi pronto che ce la papperemo tutti.”

La sera arrivò Memè: “Sai?” gli dissero, “la Morgana non l’ha mangiata. Dovremo farlo noi.”

“Oh, bene!” rispose lui.

E quelle: “Domani, quando avrà svolto le sue faccende, le faremo mettere a bollire l’acqua, in un di quegli enormi calderoni che si usano per il bucato. E quando l’acqua sarà bella bollente, ce la butteremo dentro tutti insieme.”

Memè rispose: “Bene, bene, sì, sì; faremo così.”

E la mattina dopo, le fate si assentarono come al solito senza dir niente a Prezzemolina.

Partite le fate, ecco arrivare Memè, che le disse: “Sai, hanno deciso di mangiarti: oggi, a una cert’ora, ti chiederanno di mettere a bollire un calderone d’acqua, di quelli che si usano per fare il bucato. E, quando l’acqua bollirà, ti ci butteranno dentro. E invece vedrai che saranno loro a finirci dentro.”

Poi, Memè se ne andò, e poco dopo tornarono le fate, e subito le dissero: “Senti bene, Prezzemolina, dopo pranzo tu farai i tuoi mestieri come al solito. Quando avrai finito, dovrai prendere quel calderone da bucato e metterlo a bollire, e quando l’acqua sarà bella calda, chiamaci.”

Prezzemolina fece tutte le sue faccende, poi, mise a bollire l’acqua come le avevano ordinato le fate.

“Fai un bel fuoco.” dissero quelle.

Prezzemolina ubbidì, e fece un fuoco ancora più caldo di quanto faceva di solito.

Poi venne anche Memè ed esclamò: “Oh, tra poco ce la papperemo!” disse, fregandosi le mani.

Quando l’acqua fu pronta, Prezzemolina disse: “Venite a vedere, signore fate. L’acqua bolle.”

Le fate andarono a controllare.

Nel mentre, Memè disse a Prezzemolina: “Dai, dai!” Ne acchiappò due e le sbatté dentro.

Prezzemolina prende le altre due, e le buttò nel calderone.

E bolli, bolli, le lasciarono lì a bollire finché non gli si spezzarono i colli.

“Ora siamo padroni di tutto, bambina mia. Vieni con me.”

La condusse giù in cantina, dove c’era un’infinità di lumi, compreso quello della fata Morgana, che era il più grande e grosso di tutti.

Ed ella era proprio la fata più anziana.

La sua anima ora era diventata un lume.

Una volta che ebbero spenti tutti i lumi, sarebbero morte anche tutte le fate. “Spegni quelli di qua, mentre io spengo le altre.”

Così li spensero tutti e rimasero padroni di ogni cosa.

Andarono poi al castello della fata Morgana.

Del ciabattino ne fecero un signore; la fornaia la trasformarono in gran dama; i cani li portarono a vivere con loro all’interno del palazzo.

Le porte le lasciarono stare e assunsero un usciere per farle ungere.

E Memè disse: “Ora sarai la mia sposa; mi sembra giusto.”

E così vissero a lungo,
in pace sempre stettero
e a me nulla dettero.

- Fiaberella
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