Storia di Ali Babà e dei quaranta ladroni-Parte I

Mi è venuto in mente, o re felice, che nel tempo dei tempi, in una città della Persia, vivevano due fratelli, che si chiamavano uno Qassim e l’altro Alì Babà. Quando il padre di costoro, che era un uomo di modeste risorse, fu passato nella misericordia del Signore, i due fratelli procedettero a dividersi equamente i magri beni lasciati dal genitore. Certo l’eredità non migliorò di molto la condizione dei due fratelli, perché i beni lasciati dal padre erano ben poca cosa. Ma Qassim ebbe la fortuna di conoscere un giorno una mezzana, la quale, dopo avere sperimentato su di se e con piena soddisfazione le gagliarde virtù di copulatore del giovanotto, gli combinò un matrimonio con una ragazza piacevole di aspetto e per giunta – benedetto sia Colui che distribuisce! – provvista di beni di fortuna e padrona di una bottega fornita di ogni mercanzia, così che Qassim diventò dall’oggi al domani un uomo agiato, anzi, uno dei più ricchi mercanti della città e poté fare a meno di preoccuparsi dell’avvenire. Lo stesso non si poteva dire dell’altro fratello, Alì Babà, il quale aveva sposato una donna povera come lui, viveva in una povera casa e possedeva quale unica ricchezza tre somari che gli servivano per trasportare in città la legna che andava a tagliare nei boschi e con la vendita della quale tirava avanti ‘alla meno peggio.

Ora avvenne che un giorno, mentre Alì Babà si trovava nel bosco a tagliare legna come al solito, senti in lontananza un rumore sordo che si avvicinava sempre più e alla fine, prestando orecchio, Alì Babà fu certo che si trattasse del trepestio di parecchi cavalli che correvano al galoppo. Poiché quel luogo era lontano da ogni via di passaggio e molto solitario, Alì Babà pensò dovesse trattarsi di qualche banda di ladri e ritenne prudente rimettersi in salvo fino a che non avesse potuto vedere chi erano i cavalieri che arrivavano così di carriera. Perciò si arrampicò su un grande albero che sorgeva in cima a una rupe isolata e si nascose fra i rami in modo da poter vedere senza essere veduto. E fu una saggia decisione la sua, perché di lì a poco vide arrivare al gran galoppo una masnada di cavalieri, grandi e grossi, armati fino ai denti e dalle facce feroci. Alì Babà capì allora di non essersi sbagliato e fu certo che quegli uomini dal fiero aspetto erano dei banditi di strada. A un cenno del loro capo, smontarono da cavallo, legarono le bestie agli alberi, quindi tolsero dalle selle delle bisacce e se le caricarono sulle spalle. Curvi sotto il peso delle bisacce, s’incamminarono in fila indiana sfilando sotto l’albero dove si trovava Alì Babà il quale poté così contarli comodamente e vide che erano in tutto quaranta, né uno di più né uno di meno. Colui che marciava in testa alla fila e che doveva essere il capo dei banditi, arrivato davanti a una grande roccia seminascosta da un folto di cespugli, si fermò, depositò la propria bisaccia a terra e, con voce squillante, gridò: “Sesamo, apriti!” Non appena ebbe detto queste parole, ecco che la roccia girò su se stessa, come una porta sui cardini, rivelando una vasta apertura.

I banditi uno dopo l’altro e da ultimo il capo, dopo essersi ricaricata sulle spalle la bisaccia, entrò anche lui; dopo di che la roccia girò di nuovo su se stessa bloccando l’apertura e per quanto Alì Babà, che pure non era lontano, aguzzasse la vista, non gli fu possibile scorgere né un segno né una fenditura che rivelasse l’ingresso di una grotta. Alì Babà, che aveva assistito stupefatto allo spettacolo che si era svolto sotto i suoi occhi, non sapeva che partito prendere. Dapprima pensò di scendere dall’albero, impadronirsi di un paio di cavalli e fuggire con quelli in città. Ma riflettendoci bene temette che i banditi uscissero dalla grotta mentre lui cercava di squagliarsela, e in tal caso nessuno avrebbe potuto salvarlo da una fine miserevole. Decise perciò che la cosa migliore era di rimanere dove si trovava, anche perché era incuriosito di vedere che cosa sarebbe successo. Dopo un bel po’ che stava lì sull’albero e si sentiva già le gambe fonnicolare per la scomoda posizione, Alì Babà vide che la roccia tornava a girare su se stessa, ed ecco che dall’antro uscirono di nuovo in fila indiana i banditi recando in mano le bisacce, ma questa volta vuote. Da ultimo uscì il capo il quale assicuratosi che nessuno fosse rimasto nella grotta, si voltò verso la roccia e con la solita voce squillante gridò: “Sesamo, chiuditi!” Dopo di che i banditi tornarono tutti ai cavalli, legarono le bisacce alle selle, montarono in groppa e spronarono via par Alì Babà sarebbe stato tentato di scendere subito dall’albero, ma la prudenza di cui Allà lo aveva fornito gli consigliò di rimanere dove si trovava, in quanto pensò che forse i ladroni potevano aver dimenticato qualche cosa e sarebbero tornati indietro a prenderla e così lo avrebbero sorpreso. Cercò di seguire con l’occhio per quanto poté i cavalieri e quando li vide scomparire nel folto degli alberi si mise a spiare la nuvola di polvere, che sollevavano le loro cavalcature.

Quando alla fine la nuvola di polvere, che si rimpiccioliva sempre più, scomparve del tutto ai suoi occhi, allora Alì Babà, sentendosi abbastanza sicuro, scese dall’albero e si avvicinò incuriosito alla roccia cominciando a guardare bene da tutte le parti. Ma per quanto guardasse e smuovesse cespugli, non gli fu possibile vedere alcuna anfrattuosità, alcuna fessura, non gli fu possibile insomma scoprire alcun indizio che quella roccia si fosse mai mossa dal suo posto fin da quando, nella notte dei tempi, il Signore l’aveva collocata in quel luogo. Siccome, però, egli ricordava la formula pronunciata dal capo dei ladroni, fu spinto dalla curiosità di constatare se quelle parole avevano lo stesso potere magico anche in bocca a lui. Si piantò quindi davanti alla roccia e ad alta voce gridò: “Sesamo, apriti!” E sebbene la sua voce avesse tremato un poco per l’emozione, tuttavia la roccia cominciò a girare su se stessa rivelando una vasta apertura. Alì Babà fu preso da un indicibile spavento, senti che le gambe gli tremavano e fu sul punto di fuggire; se non che, gettando un’occhiata verso l’interno dell’apertura, invece della grotta buia e spaventosa che si era immaginata, vide una galleria di pietra ben levigata, spaziosa e bene illuminata da un fiotto di luce che, pioveva dall’alto. Quella vista lo rincuorò alquanto, e se la paura lo tirava indietro la curiosità lo spingeva avanti, e così un passo dietro l’altro cominciò ad inoltrarsi nella galleria, senza dimenticarsi d’invocare prima il nome di Allàh clemente e misericordioso. Fatti pochi passi, senti che la roccia girava di nuovo sui cardini e richiudeva l’apertura. Lì per lì fu preso da un indicibile spavento, ma poi pensò che la formula magica, così come aveva funzionato per farlo entrare, avrebbe funzionato per farlo uscire. Tranquillizzato da questo pensiero, cominciò ad ispezionare il luogo in cui si trovava e, passando di meraviglia in meraviglia, vide che la galleria era piena zeppa di balle di stoffa preziosa, di tappeti finissimi e, cosa ancor più sorprendente, di sacchi e di cofani traboccanti di monete d’oro, di gioielli e di pietre preziose. E il povero Alì Babà, che in vita sua non aveva mai veduto nemmeno una parte infinitesima di tante ricchezze, sbarrava gli occhi e a malapena osava toccare con la punta delle dita quell’oro, quei diamanti, quelle gemme, e andava dicendosi che quella grotta doveva essere servita di rifugio non solo a quei quaranta ladroni, ma anche agli antenati di quelli e agli antenati degli antenati, e ad intere generazioni di ladroni fin dall’origine dei secoli. Passati i primi istanti di stupore e di sbigottimento, Alì Babà si disse: ‘Per Allàh, nulla accade che il Signore non voglia! Se tu, o Alì Babà, povero legnaiolo, sei riuscito a entrare in questo luogo e a mettere le mani su tante ricchezze, è evidente che questa è la volontà di Colui che dà e prende. Non v’è dubbio su quale sia la volontà del Signore: Egli certamente desidera che quest’oro, frutto di tante ruberie e rapine, -sia usato a fin di bene, acciocché tu ne faccia elemosine e viva con la tua famiglia al riparo dal bisogno e dalle ristrettezze.’ E dopo essersi messo in pace la coscienza con questo ragionamento, il povero Alì Babà prese un sacco pieno di monete d’oro e lo trascinò fino all’imboccatura della galleria. Poi fece lo stesso con un secondo sacco e con un terzo, e tanti ne preparò quanti pensava che i suoi somari potessero trasportarne. Quando ebbe ultimato il suo lavoro, si mise davanti all’imboccatura della caverna e ad alta voce disse: “Sesamo, apriti!” E subito la roccia girò su se stessa e Alì Babà trascinò all’aperto i sacchi colmi d’oro che aveva preparato. Poi, voltatosi verso l’apertura della grotta, disse ad alta voce: “Sesamo, chiuditi!” e la roccia tornò a girare su se stessa e si chiuse. Alì Babà attaccò i sacchi al basto dei somari e per evitare la curiosità della gente ebbe cura di nasconderli sotto le fascine di legna.

Ciò fatto riprese il cammino della città e arrivato a casa sua condusse gli asini in una piccola corte interna, dove nessuno poteva vederlo, e cominciò a scaricare i sacchi. Ed ecco che arrivò la moglie di Alì Babà, la quale vedendo il marito indaffarato a scaricare sacchi così pesanti quali non se ne erano mai visti in quella casa, cominciò a chiedergli che cosa fosse quella roba, e dove l’avesse trovata e chi gliel’avesse data, e insomma a fare mille domande come sogliono le femmine. “0 donna,” le rispose Alì Babà, “contentati di sapere che questi sacchi sono un dono di Allàh. E ora, invece di star lì a farmi tante domande, aiutami a portarli in casa.” E allora la donna si mise ad aiutare il marito a trasportare i sacchi in casa, ma poiché palpandoli li sentiva come fossero pieni di monete, la sua curiosità non fece che aumentare. Sicché, quando ebbero terminato di trasportare tutti i sacchi in casa, la donna volle subito aprirne uno e, vistolo colmo di pezzi d’oro, cominciò a battere le palme delle mani l’una contro l’altra, e a strapparsi i capelli, e a lacerarsi il petto gridando: “0 sventura! sventura su di noi e sui nostri figli! 0 Alì Babà, come hai potuto, infelice…” Alì Babà, sentendo la donna gridare in quel modo e temendo che richiamasse l’attenzione dei vicini, cominciò a saltare, per la rabbia, a destra e a sinistra e alla fine le pose una mano sulla bocca dicendole: “Che Allàh ti privi delle sue benedizioni, sciagurata! Che cos’hai da gridare in questo modo? Vuoi forse svergognarmi davanti a tutti i vicini? E poi, è questa la buona opinione che hai di tuo marito? Se io ho tutto questo denaro, perché pensi che me lo sia procurato in modo illecito? E’ Allàh che ha voluto concederci questa benedizione, e invece di strapparti i capelli faresti meglio a gettarti a terra e a ringraziare il Signore.” E raccontò alla moglie tutto quello che gli era accaduto e quando la donna seppe come stavano le cose di colpo le passò lo spavento e si mise a lodare il Signore per la benedizione che aveva inviato loro. Ciò fatto se ne andò dove erano i sacchi e sedutasi per terra sui talloni cominciò a contare le monete d’oro. Ma Alì Babà, vedutala intenta a quell’operazione, cominciò a darle sulla voce, dicendole: “Che fai, disgraziata? Ti ci vorranno giorni e giorni per poter contare tutte quelle monete. Non sai che la cosa più saggia che possa fare un poveretto, quando gli capita una fortuna di questo genere, è quella di nascondere appunto la sua fortuna? Invece di star lì a contare il denaro, aiutami a scavare una buca nella quale nasconderemo questi sacchi acciocché non si levi contro di noi la cupidigia e l’invidia dei vicini.” “Marito mio,” rispose la donna, “non ho certo intenzione di contare a una a una tutte queste monete. Però, prima di sotterrarle, voglio sapere a quanto ammonta la nostra fortuna. Perciò andrò a farmi prestare una misura di legno da qualche vicina mentre tu scaverai la fossa. Così sapremo quanto potremo spendere per il necessario e per il superfluo, e potremo regolare convenientemente la nostra vita.” Alì Babà pensò che il ragionamento della moglie non fosse sbagliato e le disse: “E va bene! Va’ pure! Ma fa’ presto, e soprattutto bada di non rivelare ad anima viva il nostro segreto.” La moglie di Alì Babà si mise il velo sul volto e uscì per andare in cerca della misura di legno che le occorreva, e, strada facendo, pensò che la cosa migliore fosse quella di andarla a chiedere alla cognata, la moglie di Qassim, il fratello ricco di suo marito.

Così fece; e recatasi a casa di Qassim chiese alla cognata se poteva prestarle una misura di legno, e la cognata le rispose: “Volentieri, cognata mia, e che Allà ti accresca le sue benedizioni! Perché, se vieni a chiedermi una misura, vuoldire che ti serve per misurare qualcosa, e se hai qualcosa da misurare vuol dire che Allà ha fatto entrare la prosperità in casa tua” E poiché la moglie di Ali Babà non rispondeva né sì né no, l’altra, piccata nella sua curiosità, andò a prendere la misura di legno, ma siccome moriva dalla voglia di sapere che specie di granaglie dovesse misurarvi la cognata, ne spalmò il fondo all’esterno con un po’ di sego. Ciò fatto tornò dalla cognata e le consegnò la misura. La donna la ringraziò e, dopo averle rivolto i complimenti d’uso, se ne tornò a casa; quivi giunta, si sedette per terra accanto ai sacchi e affondando la misura nelle monete d’oro cominciò a contare tutto quel denaro, facendo, per ogni misura che passava, un segno col carbone sul muro. Quando ebbe finito di passare l’oro, chiamò Alì Babà e gli mostrò i segni che aveva fatto sul muro e che quasi riempivano una intera parete. Poi, quando lei e il marito ebbero deposto i sacchi nella buca che Ali Babà aveva scavato e li ebbero ricoperti ben bene con la terra, la donna prese la misura si velò, e andò a restituirla alla cognata, ringraziandola per il servigio che le aveva reso. Non appena la moglie di Alì Babà fu uscita, la cognata rivoltò la misura e, con suo grande stupore, vide che attaccata sul fondo unto di grasso c’era una moneta d’oro. Prese in mano la moneta e constatò che era di oro buono e subito si sentì il cuore attanagliato dall’invidia ed esclamò: “Ma come? Quel pezzente di Alì Babà ha tanto denaro da doverlo contare a misure? E come avrà fatto a procurare?” E andò avanti per tutto il giorno a rimuginare questi pensieri.

La sera, quando il marito, Qassim tornò a casa, la moglie andò subito incontro e gli disse: “0 Qassim, chi pensi che sia più ricco fra te e tuo fratello;'” Qassim la guardò sbalordito e le disse: “Che discorsi sono questi, o donna? Sai benissimo che mio fratello è un poveraccio buono a nulla. Che significa questa domanda?” “Perciò, o Qassim,” insiste la donna, “tu sei convinto di essere molto più ricco di tuo fratello;” “Smettila di rompermi il capo con queste ciance, o donna,” rispose Qassiin. “Sai benissimo che le cose stanno proprio così.” “E allora sappi, o Qassim,” gli disse la moglie, “che ti sbagli di grosso, perché tuo fratello Alì Babà è infinitamente più ricco di te, e in effetti è tanto ricco che per contare il suo denaro ha bisogno di una misura da grano.” E allo sbalordito Qassim raccontò tutto quello che le era capitato con la moglie di Alì Babà e concluse il suo discorso mostrandogli la moneta d’oro che era rimasta attaccata sul fondo della misura di legno. Quando Qassim ebbe udito il racconto della moglie ed ebbe visto la moneta d’oro, non seppe darsi pace, e per tutta la notte non fece che rigirarsi nel letto, pensando a come potesse essere capitata tanta ricchezza fra le mani del fratello. La mattina seguente, dopo aver passato una intera nottata a rodersi il fegato, Qassim uscì di buon’ora, si recò difilato dal fratello e senza nemmeno salutarlo e informarsi della sua salute gli disse: “Che cosa sono tutti questi segreti? Ti sembra bello ingannare la gente in questo modo? Ma come? Te ne vai in giro come un pezzente a piangere miseria e poi misuri le monete d’oro a staia? E nemmeno a me, che sono tuo fratello, dici nulla dei tuoi affari né mi metti al corrente dì quello che ti capita.” Alì Babà rimase interdetto, sentendo questo sproloquio, non tanto perché fosse avaro di natura, ma perché temeva l’invidia e la gelosia del fratello e della cognata. Così rispose: “Fratello mio, perché ti lamenti se è questa la prima volta, in tanti anni, che metti piede nella mia casa? E come avrei potuto informarti dei casi miei se tu non ti sei mai interessato di conoscerli né mai hai chiesto, non dico a me ma almeno ai vicini, se io e i miei figli avevano da mangiare o no? Se io fossi venuto da te a raccontarti le mie miserie, avresti pensato che lo facevo per spillarti denaro.” “Adesso non si tratta di questo, Alì Babà,” rispose impaziente Qassim, “ma si tratta dei fatto che tu inganni la gente dabbene fingendoti povero quando non lo sei, dato che non ho mai visto un povero contare il denaro con una misura da grano.” Quando Alì Babà ebbe inteso queste parole, capì che il fratello era al corrente di tutto e che sarebbe stato inutile cercare di fingere. Perciò, facendo buon viso a cattivo gioco, gli raccontò tutto quanto gli era capitato nel bosco e concluse dicendo: “Sia glorificato Allàh che ci ha inviato questa benedizione! Ma poiché noi siamo dello stesso sangue, penso non sia giusto che io tenga per me questa ricchezza che non ho fatto nulla per guadagnare. Perciò, fratello mio, ti prego di volere accettare metà dell’oro che ho portato fuori da quella grotta.”

Qassim, nel quale il racconto del fratello aveva risvegliato la cupidigia e con la cupidigia la tracotanza e la malizia, rispose: “Su questo non si discute nemmeno, o Alì Babà! Se il Signore ti ha fatto scoprire questo tesoro, è evidente che lo ha fatto perché tu ne rendessi partecipe anche me che sono tuo fratello. E qui ci sarebbe da discorrere molto, perché se io non fossi venuto a casa tua tu ti saresti goduto quest’oro da solo senza farmi sapere nulla. Piuttosto, hai dimenticato di dirmi quali sono le parole magiche che aprono la roccia. Prima di mettere le mani su quest’oro, voglio essere sicuro che quello che mi hai raccontato sia vero, perché io sono un mercante rispettabile e non mi piacerebbe di trovarmi coinvolto in qualche pasticcio. Avanti dunque: dimmi quali sono queste parole e bada bene di non imbrogliarmi, perché altrimenti andrò dal capo della polizia e ti denuncerò come complice dei ladroni. E non so se questo ti converrebbe.” Alì Babà, spinto non tanto dalle minacce quanto dal suo animo onesto e privo di malizie, disse al fratello quali erano le parole magiche che servivano per fare aprire la roccia, e quando Qassim le ebbe udite se ne andò senza nemmeno ringraziare Alì Babà.

La mattina dopo, di buon’ora, Qassim fece mettere il basto a dieci muli e su ogni basto fece attaccare due robuste casse. Poi si avviò verso il bosco, nel luogo indicato dal fratello. Trovò subito l’albero, al quale legò i muli, e, regolandosi su quello, non ebbe difficoltà a individuare la roccia, tanto esatta e precisa era stata la descrizione di Alì Babà. Postosi dunque davanti alla roccia, pronunciò ad alta voce le parole: “Sesamo, apriti!” E subito la roccia cominciò a girare su se stessa rivelando l’apertura della grotta. Qassim precipitò dentro, ma fatti alcuni passi rimase impietrito dallo stupore perché gli era bastata una sola occhiata per rendersi conto delle immense ricchezze che si trovavano nascoste in quel luogo; infatti, l’oro che il fratello aveva portato fuori non era che una minima parte di ciò che conteneva quella grotta. Riavutosi dal primo stupore, Qassim cominciò, con il fiato mozzo dall’entusiasmo, a fare il giro della grotta, palpando e toccando le cose preziose che vi erano contenute e gettando esclamazioni di meraviglia davanti ai cofani traboccanti di pietre preziose e di monili, davanti alle cataste di argenteria cesellata, davanti ai sacchi pieni di monete d’oro, davanti alle balle di stoffe preziosissime. Con la bava alla bocca e gli occhi accesi di cupidigia, per un pezzo non fece che andare da un sacco all’altro e da un cofano all’altro valutando in cuor suo quelle ricchezze e accarezzandole con le sue mani da mercante come se già fossero roba sua. Pensò che per portar via quel tesoro ci sarebbe voluta una carovana di cammelli grande come quelle che giungono in Persia dalle lontane contrade della Cina. Allora gli venne fatto di pensare ai dieci muli che aveva lasciato fuori accanto all’albero e decise di andarli a prendere, per caricare intanto quelli con quanta più roba gli fosse stato possibile. Così, fece per uscire dalla grotta, ma trovò che l’imboccatura era chiusa perché, non appena egli era entrato, la roccia, come al solito, aveva di nuovo girato su se stessa e Qassim non se ne era accorto, tutto preso dall’entusiasmo per quel che vedeva. Volle allora pronunciare le parole magiche per far riaprire la roccia, ma la vista di tutti quei tesori gli aveva stravolto il cervello a tal puntoch’egli aveva dimenticato completamente quali fossero quelle parole. Così si piantò davanti alla roccia e gridò: “Orzo, apriti!” e poiché la roccia non si muoveva, ripete ancora due o tre volte ad alta voce “Orzo, apriti!” Ma la roccia continuò a rimanere ferma. Allora Qassim cominciò a pensare che la parola, magica dovesse essere un’altra, e gli parve proprio di ricordare che quella parola dovesse essere segala. Perciò, con quanto fiato aveva in corpo, gridò: “Segala, apriti!” Ma naturalmente non accadde nulla. Dopo aver ripetuto più volte queste parole, Qassim cominciò a spazientirsi, e poi ad inquietarsi, e senza prender fiato si mise a ripetere la formula usando i nomi di tutte le semenze e di tutti i cereali che gli venivano in mente. Tutti li nominò tranne quello giusto, perché il Profeta, sia benedetto ed esaltato il suo nome, ha detto, parlando dei malvagi: “Allàh toglierà loro il dono della luce, ed essi andranno vagolando nelle tenebre e, ciechi, sordi e muti, saranno incapaci di tornare sui loro passi.”

Quando Qassim ebbe provato inutilmente tutti i nomi che gli venivano alla memoria, fu preso dal terrore di non poter più uscire dalla grotta. Allora non gli importò più niente di tutte quelle ricchezze e desiderò una sola cosa. uscire di nuovo alla luce del sole. Come un forsennato, si mise a correre a dritta e a manca cercando un’apertura o un appiglio che gli permettesse di arrampicarsi fino alla volta della galleria da dove pioveva il fiotto di luce. Ma le pareti erano tutte di marmo liscio e levigato, unite e compatte, e non solo non vi erano appigli, ma non vi era nemmeno l’ombra di un’apertura. Come un animale feroce preso in trappola, Qassim in preda alla disperazione andava correndo di qua e di là, picchiando il capo nel muro e ferendosi le mani, ma tutto era inutile. Alla fine si gettò a terra stremato di forze e rimase lì a piangere e ad ansimare per un pezzo, quand’ecco d’un tratto sentire fuori della grotta un rumore di cavalli al galoppo. In effetti proprio quel giorno i quaranta ladroni avevano deciso di tornare nella grotta per nascondervi dell’altro bottino. Ma quando furono arrivati nei pressi della roccia videro i muli con le casse, legati all’albero, e allora, sguainate le spade, scesero subito da cavallo e cominciarono a frugare tutt’intorno e fra i cespugli per scovare il padrone di quei muli e ucciderlo. Ma per quanto cercassero dappertutto, non riuscirono a trovare anima viva. Allora il capo dei banditi, dopo essersi consultato con i suoi, si piazzò davanti alla roccia e gridò: “Sesamo, apriti!” e la roccia girò su se stessa aprendosi. Qassim, che dall’interno della grotta aveva udito le imprecazioni e le grida di rabbia dei banditi, temendo fortemente per la sua vita, si era nascosto in un angolo, appiattito fra due sacchi di monete d’oro. Quando però vide che la roccia inaspettatamente si apriva non ebbe altro pensiero che quello di correre a mettersi in salvo. Si precipitò dunque a testa bassa, come un caprone, verso l’apertura, ma era scritto che dovesse andare a cozzare proprio contr il capo dei banditi, così che entrambi caddero distesi per terra, e prima che Qassim potesse rialzarsi e fuggire gli altri briganti gli furono addosso e lo fecero a pezzi con le loro spade, perché questo era il destino che Allàh il Giusto, il Distributore, gli aveva riservato. Quanto ai ladroni, dopo che ebbero ucciso Qassim, entrarono nella grotta e videro ammucchiati da una parte i sacchi e i cofani che Qassim aveva preparato per caricarli sui muli. Allora si sedettero in circolo e tennero consiglio chiedendosi come mai quell’uomo fosse riuscito a entrare nella loro grotta. Alla fine, poiché non trovarono una spiegazione soddisfacente a quel fatto strano, e poiché d’altra parte erano convinti d’essere i soli a possedere la formula magica che faceva aprire la roccia, e visto che l’intruso era morto e non avrebbe più potuto parlare con nessuno, rivelando l’esistenza del loro nascondiglio, decisero di vuotare le bisacce e di tornarsene al loro mestiere di razziatori, perché erano gente attiva, cui piaceva di più fare i fatti che star seduta a discorrere. Tuttavia, prima di andarsene, pensarono bene di squartare il cadavere di Qasssim e di disporne i pezzi all’ingresso della grotta affinché chiunque per caso fosse riuscito a varcarne la soglia rimasesse terrorizzato da quello spettacolo e fuggisse via senza più farvi ritorno. Questo per quanto riguarda Qassim e i quaranta ladroni.

- Fiaberella
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